Cinque anni dalla morte di Eluana e nulla è cambiato

Tredici novembre 2008. E' l'inizio della fine per la tragica epopea di Eluana Englaro e dei suoi familiari. La sentenza della Cassazione mette il punto finale a questa storia. Una tragedia, iniziata diciassette anni prima con un incidente il 18 gennaio 1992. La corte stabilisce la sospensione della nutrizione e dell’idratazione artificiali. Eluana morirà il 9 febbraio 2009. E' in quel giorno di novembre però che il paese si spacca. Cattolici contro atei, destra contro sinistra si rincorrono a colpi di dichiarazioni come se anche la morte meriti a tutti i costi un'etichetta. L'opposizione considera la sentenza "un atto di civiltà", per il centrodestra si tratta un "omicidio di Stato" (si ricordi l'affermazione di Silvio Berlusconi: "Non ce l'hanno fatta salvare"), mentre per la Cei è "un atto di arroganza che introduce l'eutanasia". Chi parla di buona morte e di accanimento terapeutico, chi difende il diritto alla vita. Sono passati 5 anni da allora e nulla è cambiato. In Parlamento si è discusso molto sulla necessità di fare una legge sulle direttive anticipate di trattamento, il cosiddetto testamento biologico, ma non se n'è fatto nulla.   L'incidente. Eluana al momento dell'incidente ha 21 anni e si è da poco iscritta alla facoltà di lingue di Milano. La notte del 18 gennaio perde il controllo dell’auto mentre torna da una festa in paese vicino Lecco. Prende in pieno un palo della luce, poi un albero. Arriva in ospedale con un gravissimo trauma cranico e la frattura della seconda vertebra cervicale. Condannata alla paralisi totale. La regione superiore del cervello, compromessa da un trauma oppure da un'emorragia, va incontro a una degenerazione definitiva. E con essa tutte le funzioni di cui è responsabile: dall'intelletto agli affetti, e più in generale alla coscienza. I suoi occhi si aprono e si chiudono seguendo il ritmo del giorno e della notte, ma non vedono. Le labbra sono scosse da un tremore continuo, gli arti sono tesi e i piedi sono in posizione equina. Una cannula dal naso le porta il nutrimento allo stomaco. Ogni mattina gli infermieri le lavano il viso e il corpo con spugnature. Un clistere le libera l'intestino. Ogni due ore la girano nel letto. Una volta al giorno la mettono su una sedia con schienale ribaltabile, stando attenti che non cada in avanti. Poi di nuovo a letto. Ecco come la ricorda Giancarla Rondinelli, giornlista del Tempo e amica di Eluana Englaro. Giustizia. Chi meglio di una compagna di banco può ricordarla. Ma è giusto soffermarsi un momento sui procedimenti giudiziari che segnano per undici anni le tappe della sua vita. Sedici sentenze della magistratura italiana ed europea. Per molto tempo la vicenda rimane lontana dall’attenzione dell’opinione pubblica. Nel 1997 il primo passo. Beppino Englaro, padre di Eluana, ottiene da un giudice l’autorizzazione a diventare tutore (cioè il suo rappresentante legale). Poco più di un anno dopo, nel gennaio del 1999, Englaro chiede per la prima volta al tribunale di Lecco di interrompere l’alimentazione artificiale, che considera un accanimento terapeutico in contrasto con l’articolo 32 della Costituzione, secondo cui "Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". A marzo il tribunale respinge la richiesta. Englaro allora ricorre alla Corte d’Appello, che a dicembre del 1999 respinge nuovamente la richiesta. Secondo il tribunale e la Corte, c’è ancora un dibattito aperto su come considerare l’alimentazione artificiale: non è possibile definirla al di là di ogni dubbio un “accanimento terapeutico”. Nel giugno 2002 Englaro fa una nuova richiesta al tribunale di Lecco, che viene nuovamente respinta. Anche la Corte d’Appello di Milano la respinse di nuovo, ma nella sentenza chiede che il legislatore intervenga a chiarire la questione giuridica riguardante il cosiddetto “fine vita”. Il caso arriva in Cassazione. Qui la giustizia italiana comincia a ingarbugliarsi. Viene chiesta una nuova pronuncia alla Corte d'Appello di Milano che la boccia, nuovi ricorsi e, alla fine, la sentenza definitiva. Non si tratta di accanimento terapeutico. La Corte, però, precisa anche un altro elemento che si rivela fondamentale per il caso: l’alimentazione artificiale può essere interrotta, a patto che si verifichino due circostanze. La prima: lo stato vegetativo deve essere giudicato dai medici completamente irreversibile. La seconda: si deve poter dimostrare che il paziente abbia espresso la richiesta di non essere mantenuto in vita in maniera artificiale, una cosa che la famiglia Englaro è riuscita a fare portando diverse testimonianze di amici di Eluana. La Corte decide comunque di rimandare tutto alla Corte d’Appello di Milano, per l’ennesima volta, che il 9 luglio 2008 accoglie il ricorso di Beppino Englaro e lo autorizza ad interrompere l’alimentazione artificiale di Eluana. Ma non è ancora finita, perché la procura di Milano fa ricorso contro la decisione della Corte d’Appello. Per la quarta volta il caso arriva alla Corte di Cassazione che pronuncia la parola definitiva sul caso. Sentenza storica: Eluana può morire. Biotestamento. Del testamento biologico ormai non ne parla più nessuno. L’unico progresso fatto in questo campo è stata la decisione di introdurre in oltre 100 comuni dei registri in cui è possibile specificare quali siano le proprio volontà sui trattamenti che si desidera ricevere in caso di coma irreversibile. Quel disegno di legge, di cui tanto si è discusso in Parlamento, è stato semplicemente messo da parte a riposare. Dimenticato, impolvera in qualche scaffale o archiviato in qualche hard disk. Vegeta, senza possibilità di trapasso, nelle mani di una morte che non accetta compromessi.