Le minacce a Lotito tra moglie e ultrà
L’ultima carta per uscire indenni dal processo sull’estorsione ai danni del presidente della Lazio, Claudio Lotito: «Sua moglie Cristina Mezzaroma ha fatto le minacce». Un’impostazione difensiva che non regge secondo la Procura della Repubblica di Roma e secondo la difesa del patron dei biancocelesti. Entra nel vivo il processo in cui risultano alla sbarra degli imputati i capi degli «Irriducibili» Fabrizio Piscitelli, Yuri Alviti, Fabrizio Toffolo e Paolo Arcivieri, oltre a Guido Di Cosimo, Giuseppe Bellantonio, Bruno Errico e Fabio Di Marziantonio. Nei loro confronti sono ipotizzati i reati di concorso in aggiotaggio e tentata estorsione. Secondo i magistrati di piazzale Clodio «allo scopo di costringere Lotito a cedere a terzi le proprie quote della società», lo avrebbero «minacciato» e «intimidito», con gravi pressioni anche sui «suoi familiari e di persone al medesimo vicine». Il tutto sarebbe stato «organizzato e posto in essere» dagli appartenenti al direttivo degli «Irriducibili», o anche «istigando le condotte di terzi». L’avvocato Gentile, difensore di Lotito, ha detto di aver «presentato un elenco puntuale di tutti gli episodi estorsivi che sono stati consumati nei confronti di Lotito, circa una cinquantina. Tra l’altro, i soldi con cui si volevano comprare la Lazio erano della Camorra». Un’accusa pesantissima, in parte inedita, che segue le iniziali indagini sull’interesse presunto dei casalesi a rilevare la società biancoceleste. «E comunque, al di là di tutto, la storia della moglie non sta in piedi, non è riscontrata». Sul punto, l’avvocato Gentile, non transige. La verità processuale è un’altra «ed è quella emersa in modo chiaro sia nella fase delle indagini preliminari che in questa fase del dibattimento». Insomma, questo affondo della difesa degli imputati (tutti un tempo appartenenti alla curva Nord biancoceleste) non ha motivo di esistere. Di visione opposta il difensore di Arcivieri, Domenico Mariani, che in aula ha sciorinato quelle che definisce minacce «di famiglia» perché, a suo dire, sarebbero state organizzate tra le mura domestiche di casa Lotito. LE DUE LETTERE Agli atti dell’incartamento giudiziario, osserva il legale degli imputati in una memoria consegnata al presidente, risultano esserci due lettere dal contenuto abbastanza eloquente, che Mariani ritiene essere state scritte dalla moglie (...), ma che in realtà sarebbero di matrice Irriducibili. In particolare, è annotato negli atti, avrebbero fatto pervenire a Lotito due lettere, una firmata con la sigla «i soliti amici», l’altra con la sigla «amici di tua moglie», dall’evidente contenuto ingiurioso e minatorio nei confronti sia del medesimo Lotito che della moglie in quanto riportanti affermazioni quali «stai attento alla tua bella mogliettina» o «non sarai tu l’oggetto delle nostre attenzioni ma quella fica di tua moglie… hai presente il Circeo?». Oltre alle lettere, poi, la stessa donna è stata ascoltata nel corso del processo, ed ha avuto modo di raccontare la circostanza di una telefonata ricevuta quando si trovava al mare. In particolare, ha detto di aver ricevuto la telefonata mentre si trovava a Sabaudia col figlio e di essere stata aggredita verbalmente, al punto da essersi intimorita ed essere rientrata a Roma. LA TELEFONATA ALLA SS LAZIO Nell’incartamento, inoltre, emerge anche una telefonata fatta a Sergio Sciabetta, vice presidente del consiglio di sorveglianza della Ss Lazio, dal contenuto minatorio. «Un messaggio - scrivono i magistrati negli atti - in cui Lotito e la moglie venivano minacciati di morte, con affermazioni quali «deve andarsene via… vedete di dirglielo, se non volete trovarlo morto con la gola tagliata, quel bastardo porco schifoso lui e la moglie. Che c’avete rotto il cazzo, quei maledetti porci banditi. Lo faremo a pezzi se non va via. Bastardi!». CAMPAGNA DIFFAMATORIA Lettere a parte, la Procura ritiene che le pressioni su Lotito siano giunte anche sotto diverse forme e che non potrebbero in nessun modo essere ricollegate al ruolo della moglie. Di fatti, risulta «una campagna diffamatoria, di contestazione e intimidazione (…) tale da operare una pressione psicologica costante». Questo sarebbe avvenuto attraverso l’emittente radiofonica «La Voce della Nord» gestita dal gruppo ultras Irriducibili, tramite l’esposizione nella Curva Nord dello stadio Olimpico di striscioni contenenti affermazioni quali «Lotito nemico della Nord», «Lotito vattene», «Hai rinnegato la nord», «Hai sputato su Chinaglia» e «Lotito boia è il grido di battaglia». L’IRRUZ IONE Non ci sarebbero stati solo atti diffamatori. Emerge anche un’opera di «denigrazione del Lotito, consistita, tra l’altro, nell’affiggere presso diversi quartieri della città manifesti riportanti un articolo di giornale del 14 novembre 1992, in cui si dava notizia dell’arresto de Lotito, e nell’esporre le affermazioni del medesimo contenuto in alcuni striscioni esposti allo stadio». Di particolare interesse, per la Procura, anche una irruzione nel corso di una «riunione indetta da Teresa Iannaccone, presidente del Coordinamento Lazio club onlus, sostenitore della presidenza Lotito, in cui intimavano a tutti i presenti di sostenere il gruppo rappresentato da Chinaglia, minacciando espressamente la Iannaccone di ritorsioni nei suoi confronti se non avesse deciso di "allinearsi" alla loro posizione contro il presidente Lotito». Infine, sempre secondo Mariani, sarebbero giunte gravi minacce anche a «Elisabetta Cortani, presidente della Lazio femminile». GLI IRRIDUCIBILI L’avvocato di Arcivieri ha dunque tentato di smontare il castello accusatorio, basando la propria impostazione su alcuni elementi che farebbero - a sua detta - ipotizzare un ruolo attivo della moglie nelle minacce giunte a Lotito. Ruolo, utile ribadire, in più riprese respinto in modo sdegnato dallo stesso Lotito e dal suo avvocato. Davanti ai magistrati l’avvocato Mariani ha cercato di chiarire la questione delle due lettere minatorie, che sarebbero state recapitate all’indirizzo di Lotito. Tuttavia, come ha precisato, il patron della Lazio, dopo aver ricevuto le minacce, aveva assoldato due vigilantes che controllavano l’ingresso della sua abitazione. «A meno di non volerci tappare gli occhi in modo clamoroso - ha detto Mariani - dovremmo sostenere in chiave accusatoria che il signor Arcivieri direttamente o istigando direttamente qualcuno sia riuscito a superare detta vigilanza arrivando o facendo arrivare qualcuno sullo zerbino di casa Lotito, recapitando i biglietti anonimi in argomento». Aggiunge l’avvocato che, secondo la sua interpretazione «la provenienza di detti biglietti anonimi sia dall’interno della casa Lotito», quindi proverrebbero da «persone molto vicine allo stesso». Infine ha cercato di dimostrare l’innocenza dei suoi clienti e il ruolo della moglie di Lotito, ricostruendo il contenuto di alcune telefonate e di verbali che - secondo quanto ha detto - sarebbero stati rilasciati nel corso del processo.