Sette colpi di pistola dal buio
Sette colpi dal buio. Un omicidio inspiegabile, assurdo, senza movente. E rimasto insoluto. Un solo sospettato, quattro anni dopo i fatti, che però non è stato mai rinviato a giudizio dal pubblico ministero titolare delle indagini. È il delitto «Scroppo», come si chiamava la vittima, anche noto come «l’omicidio di Due Ponti», dalla zona a nord della Capitale teatro della tragedia. È la sera del 9 ottobre 1998. Mancano pochi minuti alle 20,30. Eleonora Scroppo, 50 anni festeggiati da pochi giorni, una laurea in Farmacia e un’attività di assicuratrice che la impegnava insieme con il marito Stefano Ciampini nell’agenzia «Vida» di via Flaminia, fondata dal padre Andrea negli Anni Sessanta e parte del gruppo Uniass, è in cucina nella villetta di via dei Due Ponti con Stefano e con il figlio Andrea, di 19 anni. Il primogenito, Francesco, che di anni ne ha 22, è fuori casa. Il sole è già calato. È una sera tiepida e serena, in linea con la mite «ottobrata» romana. La famiglia Ciampini è riunita intorno alla tavola. Per cena c’è la fonduta. La televisione è accesa, il telegiornale parla di politica e di cronaca. Su tutte le notizie di «nera» campeggia quella dell’assassinio di Marta Russo, la studentessa ventiduenne uccisa il 9 maggio dell’anno precedente alla Sapienza. La finestra dell’abitazione al piano terra è aperta. In cucina la luce è accesa, rendendo ben visibili i membri della famiglia. Fuori, invece, regnano le tenebre. Qualcuno punta una semiautomatica calibro 7,65 verso l’interno della stanza e preme il grilletto. Sette volte. Non spara sempre nella stessa direzione, ma cambia angolo di traiettoria, come se volesse far piazza pulita di tutti i presenti. L’obiettivo del killer, insomma, non sembra essere uno solo. Tre proiettili si conficcano nel tavolo, uno su una sedia e uno rimbalza in giardino dopo aver colpito l’inferriata metallica. Due raggiungono Eleonora Scroppo. Una delle pallottole, stabilirà l’autopsia eseguita al policlinico Gemelli, la raggiuge all’altezza della prima costola, vicino allo sterno, e le trapassa i polmoni, provocando una forte emorragia che determina la morte. L’altra la colpisce a una scapola, viene deviata dall’osso e si ferma nel collo. Ambedue i proiettili sono «ritenuti», cioè sono rimasti all’interno del corpo, senza fori d’uscita. I bossoli vengono ritrovati sul selciato, all’esterno della villetta. «Quando abbiamo sentito il primo botto non ci siamo resi conto che era un colpo di pistola. Mia moglie si è accasciata su di me. In sequenza sono arrivati altri colpi sul tavolo. Ho urlato a mio figlio: ci stanno sparando! - racconterà in seguito Stefano Ciampini - Mi sono lanciato sotto il tavolo trascinando con me mia moglie. Mio figlio si è lanciato contro il muro e io ho trascinato con me Eleonora fuori dalla stanza, lontano dalla finestra ancora aperta. Dalla disposizione dei fori si capisce che i proiettili sono andati un po’ in tutte le direzioni. Dopo il primo, che ha colpito mia moglie, gli altri erano diretti anche a noi. Non ci hanno raggiunti soltanto perché la foga o l’imperizia di chi ha sparato non gli ha consentito di colpirci e questo avvalora il fatto che non era certo lei la vittima designata, ma potevamo esserlo tutti». Scattano le indagini e, per prima cosa, come al solito, si scava nella vita della vittima, che viene passata al setaccio per trovare elementi utili. Nel mirino degli investigatori c’è soprattutto l’attività lavorativa della donna. Si pensa che qualcuno possa aver maturato rancore nei confronti della famiglia per un rimborso assicurativo non concesso. Poi, quando emerge uno screzio con l’ex cognato, il marito della sorella Miranda (socia, assieme a Patrizia, la terza sorella, dell’agenzia in via Flaminia e che vive come le altre nello stesso comprensorio) finisce nella lista dei sospettati. Ma ne uscirà presto, perché, malgrado l’episodio, la separazione dalla moglie e l’allontanamento dall’agenzia, contro di lui non vengono trovate prove. Per il resto è buio pesto, come quel venerdì sera fuori dal luogo del delitto. Niente gelosia, nessuna relazione extraconiugale, nessun problema in famiglia, niente debiti. Quello della Cassia è un vero rebus. All’inizio del 2000 il pm chiede al gip l’archiviazione. Il marito della vittima, che così può accedere agli atti, scopre che un vicino di casa nutriva un forte risentimento verso la sua famiglia. Perché? «Per il semplice fatto che noi, a detta di chi aveva fornito le informazioni, eravamo in quattro ad abitare nello stesso complesso, abbastanza piccolo, per cui mediamente avevamo la possibilità di avere la maggioranza in assemblea», spiega il signor Ciampini. La richiesta di archiviare il caso viene accantonata. Nell’ottobre 2002 l’uomo indicato da alcuni testimoni è iscritto sul registro degli indagati con l’accusa di omicidio volontario. E, finalmente, l’inchiesta sembra vicina a una svolta decisiva. Non sarà così. «Non dico che eravamo felici ma, insomma, una certa soddisfazione nonostante tutto la provavamo - continua Ciampini - Però, fu di breve durata, perché due mesi dopo, mentre aspettavamo che venisse chiesto il rinvio a giudizio, ci fu comunicata un’ulteriore richiesta di archiviazione». Una serie di accertamenti tecnici avrebbero escluso la responsabilità dell’uomo. Il delitto finisce nell’elenco dei «cold case» della Mobile capitolina. «Casi freddi», freddi come un cadavere della povera Eleonora.