CONTROTEMPO

I nuovi Depeche Mode scelgono l'impegno politico

Carlo Antini

Sono tornati. Dopo quattro anni di silenzio. Come un orologio svizzero. Chiusa la trilogia con Ben Hiller che ha firmato “Playing the Angel”, “Sounds of the universe” e “Delta Machine”, questa volta i Depeche Mode hanno scelto la produzione di James Ford già attivo al fianco di Florence & The Machine e Arctic Monkeys. “Spirit” è un lavoro politico, più di quello che può sembrare al primo ascolto. Parla di impegno privato e personale come specchio del contributo pubblico alla vita sociale. “Where's the revolution” è solo il primo assaggio. Una sorta di antipasto nei confronti di un manifesto maturo, completo. Ford dà all'impasto sonoro una compattezza invidiabile, in cui i suoni di sintesi si intrecciano con gli innesti acustici ed elettrici. Così come i talenti di Dave Gahan e Martin Gore, uniti in melodie che non lasciano nulla al caso. Nonostante i tempi serrati in sala di registrazione. Oltre a “Where's the Revolution”, spiccano l'eterea “The Worst Crime”, “Scum”, “So much love” e “No more (This is the last time)”. Lasciano il segno anche i brani cantati dalla flebile ma intensa voce di Gore: “Eternal” e la meravigliosa “Fail” che chiude l'album in modo impeccabile. Dave Gahan ha dichiarato: “Siamo estremamente orgogliosi di Spirit e non vediamo l’ora di farlo sentire a tutti. Con James Ford e il resto del team di produzione abbiamo realizzato un album che trovo davvero potente, tanto a livello di sound quanto a livello di messaggio”. Un altro capitolo mirabile nella lunga carriera della band inglese che da anni vive e lavora negli States. La firma più nobile del pop mondiale. Da 40 anni. VOTO 4/5