DOPO IL REFERENDUM

Cronache di ordinarie follie ai seggi

Carlantonio Solimene

Lascio ai commentatori più esperti di me le considerazioni sull’esito del referendum costituzionale. Mi limito a ricordare a chi ha già dato Matteo Renzi per politicamente morto tutte le volte che un simile epilogo era stato profetizzato per Silvio Berlusconi. Renzi, oggi, dovrebbe solo avere un po’ di pazienza per far passare la tempesta. Ma pazienza, forse, è una parola che nel suo vocabolario non c’è. Mi concentro, tuttavia, su un’altra questione. E in particolare su quanto mi è stato riferito sulla faticosa giornata degli scrutatori ai seggi. In molti, ad esempio, si saranno accorti, stando in fila per votare, che a volte erano fatti passare avanti uomini o donne senza rispettare l’ordine di arrivo. Gli scrutatori hanno spiegato che avviene perché, nel 2016, esistono ancora due registri diversi per gli elettori: uno per gli uomini, uno per le donne. Tralasciando l’imbarazzo di chi non si riconosce in alcuno dei due sessi - piaccia o non piaccia, trans e «no gender» esistono e non sono pochi - mi domando se abbia ancora senso in Italia una distribuzione simile negli elenchi degli elettori. Un listone unico per tutti no? Seconda notazione. Le donne sposate, sui registri, hanno accanto al loro nome anche quello del marito. Lungi da me l'iscrivermi alla battaglia femminista. Ma, anche in questo caso, mi chiedo: ha ancora senso? Se lo è domandato anche una signora divorziata da alcuni anni che, nell’elenco, risultava ancora coniugata col marito. Perché? Ancora: la burocrazia. Ogni voto, ogni scheda, ogni registro, ogni verbale necessitavano di decine di firme in calce. Una serie di operazioni che inevitabilmente portavano via tantissimo tempo e hanno costretto gli scrutatori a restare ai seggi anche fino alle tre di notte per un semplicissimo spoglio tra «sì» e «no». È accettabile tutto questo nell’era della tecnologia più avanzata? Poi, però, ci ripenso. Un computer in ogni seggio, oltre a comportare un discreto esborso per lo Stato, renderebbe ancora più vibranti le polemiche su presunti brogli «informatici». E qui arriviamo all’aspetto più spinoso della vicenda: il complottismo italico. L’unico modo per arginarlo sarebbe la preparazione. Era così difficile, ad esempio, spiegare a Piero Pelù che la matita che aveva usato al seggio non aveva niente di speciale e che, in realtà, a renderla «incancellabile» era la carta delle schede? Nessuno ha mai riflettuto sul perché, quando si vota per più cose contemporaneamente, al seggio si raccomandano di non sovrapporre le varie schede? Forse perché funzionano con un principio simile a quello della carta copiativa? Ecco, per dare queste spiegazioni occorre conoscere poche informazioni. Il complotto delle matite, peraltro, non è certo una novità di questo referendum. Perché ai seggi nessuno ci è riuscito? Non sarebbe il caso di organizzare dei piccoli, piccolissimi corsi di formazione per chi si candida a fare lo scrutatore? Magari pagandolo un po’ di più dei circa cento euro che riceve per venti ore di lavoro? Non voglio cadere nella facile retorica del caos ai seggi che simboleggia l’arretratezza del Paese, eppure un’ultima notazione «esterofila» voglio farla. Da giornalista, ho invidiato tantissimo i colleghi austriaci che, alle 17.15, conoscevano già il risultato del ballottaggio per le presidenziali. Mi chiedo: perché in Italia le urne restano aperte fino alle 23? Lo so: in questo modo si dà agli elettori la possibilità di organizzarsi al meglio per votare. Ma perché negli altri Paesi ci riescono in meno ore? Mi rendo conto che, per i palinsesti di La7, rinunciare alla maratona notturna di Mentana sarebbe un duro colpo. Ma non potremmo, per una volta, provare anche noi ad andare a dormire un po’ prima?