L'ADDIO DEL VICEPRESIDENTE

Baldissoni, l'era Pallotta che si chiude e quel plotone di nemici

Alessandro Austini

Un altro addio nella Roma che chiude per sempre un'epoca. Stavolta a lasciare il "frullatore" di Trigoria è Mauro Baldissoni, l'uomo che convinse James Pallotta ad acquistare il club, dopo che lui stesso aveva portato il fondo di George Soros a un passo dalle firme con i Sensi. 

Avvocato rampante e tifoso acceso, il richiamo della Roma è stato più forte di tutto e lo ha tenuto sul pezzo per nove anni lunghi, pesanti, belli solo in parte. E' toccato a lui l'arduo compito di tenere insieme i pezzi di una società sparpagliata per il mondo, poi la missione impossibile dello stadio portata quasi a termine prima di un depotenziamento graduale nascosto dietro la carica di vicepresidente più formale che sostanziale, fino all'uscita di scena di oggi con la risoluzione anticipata del contratto. 

  

Nessuna figura rappresenta meglio di Baldissoni il perché la Roma americana è stata osteggiata da molti sin dalle prime battute: il suo desiderio di portare il club dalla dimensione cittadina, quella degli amici, degli amici degli amici, dei salotti, di vecchi retaggi da cui sembra impossibile distaccarsi, a una società di livello internazionale, con una mentalità moderna e libera dai compromessi, ha attirato da subito un plotone di nemici schierati col fucile fuori da Trigoria. Pronti a gettare benzina sul fuoco nei momenti duri - e ce ne sono stati tanti - e a minimizzare i meriti. Perché raccontare le cose in un certo modo spesso conta più delle cose stesse che accadono.

La Roma di Pallotta, Baldissoni, Sabatini e Baldini non ha vinto ma ha raggiunto ottimi risultati per cinque anni di fila, col picco di una storica semifinale di Champions League giocata e persa con tanti rimpianti. Prima e dopo quel quinquennio vissuto stabilmente sul podio del campionato si è sbagliato tanto, troppo e i risultati sono venuti di conseguenza. 

Ora i Friedkin voltano pagina e sono pronti a inserire nuove figure, ma la strada scelta è la stessa di prima: crescita graduale, uno stadio di proprietà da costruire per cambiare marcia in un progetto di medio-lungo termine. Non ripetere alcuni errori di Pallotta sarà importante. Ma anche capire le cose buone che ha comunque costruito. E non buttarle via.