40 anni dopo

Steve Jobs, la vera storia del primo Mac: all'origine del culto della Mela

«Il 24 gennaio 1984 Apple presenterà Macintosh. E tu vedrai perché il 1984 non sarà come "1984"». Solo un genio del commercio e un profeta della tecnologia di consumo come Steve Jobs poteva presentare il primo, vero personal computer come la liberazione dalla tirannia del «pensiero unico», allora incarnata dal colosso Ibm, non a caso chiamato Big Blue. E in aggiunta, con uno spot kolossal girato da Ridley Scott (due anni prima aveva diretto Blade Runner) e trasmesso una sola volta in tv, nel terzo quarto del SuperBowl tra Washington Redskins e Los Angeles Raiders, per la cronaca vinto con un punteggio record dai californiani.

Uno spot avveniristico e distopico in cui una donna libera la collettività dalla dittatura informativa del Grande Fratello immaginato da Orwell, e che incarna a pieno la filosofia di Jobs. Tutta la comunicazione di Apple per lanciare sul mercato 40 anni fa il computer Macintosh, infatti, si basava sull'intuizione che ha reso immortale il suo fondatore (insieme, va ricordato, a Steve Wozniak): una sorta di anticonformismo di massa, un ossimoro culturale che in seguito diventerà il famoso claim pubblicitario Think different (imperativo, ti dico di pensare con la tua testa...), il tutto nell’evento broadcast più seguito al mondo, il SuperBowl.

  

 

 

Macintosh era nato dall’intuizione di Jef Raskin, sviluppatore di Apple, che voleva creare un computer piccolo, facilmente trasportabile, a meno di 1.000 dollari (in realtà il primo modello sarà lanciato a un prezzo di 2.495 dollari). Jobs era in un momento difficile in azienda, era stato estromesso dal progetto Lisa, computer che ebbe una certa diffusione in imprese e uffici, e iniziò a lavorare sul progetto Macintosh, nome inventato da Raskin che si ispirò a una varietà di mela. Il primo Mac doveva essere un computer come gli altri, invece rivoluzionò il rapporto tra persone e dispositivi. I due, infatti, ebbero l’intuizione di introdurre nella piccola macchina destinata a «smanettoni» e famiglie un’interfaccia grafica sulla spinta di quanto avevano visto nel centro ricerche avanzate Xerox Parc, come riporta una delle tante storie dei pionieri di Big Tech in cui leggenda e accuse al limite del plagio si sovrappongono. Insomma, niente comandi testuali da memorizzare e digitare. Un mouse, un piccolo schermo, un «desktop» in cui muoversi in modo bidimensionale come in un ambiente familiare ed esplorabile. Il tutto a un prezzo alto, ma accessibile a molti.

Il clamoroso successo iniziale fu frenato dopo un po’ dai limiti insiti nella macchina. Non c’era hard disk, tutto andava letto e scritto sui floppy, il che rendeva i processi molto lenti. In più il Macintosh soffriva di surriscaldamento perché all’interno non c’era una ventola. Un’idea di Jobs: chi vuole un oggetto che fa rumore appena lo accendi?

Gli sviluppatori di software, inoltre, ci misero un po’ per produrre programmi che ampliassero le possibilità della macchina, che tuttavia era un gioiellino mai visto per videoscrittura e grafica digitale. Il primo Mac diventò ugualmente il primo personal computer ad avere un impatto enorme sul mercato e nelle versioni successive fu potenziato nella memoria operativa e da periferiche come la stampante che ne decretarono il successo nell’«home printing».

L’idea rivoluzionaria alla base del Macintosh la spiega Raskin, che dopo essere stato estromesso dal progetto dallo stesso Jobs lavorò per altre compagnie e diventò uno studioso delle interazioni uomo-macchina. Fatalità, morì dello stesso male del vecchio amico. «Ho ideato il Macintosh (e inventato il nome), come risposta alla mia idea che per raggiungere una maggior diffusione dei personal computer del futuro, questi dovessero essere pensati e disegnati a partire dalla "interfaccia". Fino ad oggi, alla Apple e nelle altre industrie, il concetto è stato di creare un hardware il più potente possibile e lasciare che l’utente e i produttori di software scoprissero come sfruttarlo al meglio». Un’idea quella del rapporto «grafico» tra uomo e macchina che aprì l’era del personal computer di massa, con la successiva esplosione di Windows.

 

 

Tornando al 1984, una ventina di anni fa sulla rete è spuntato un video rimasto a lungo dentro un cassetto e che oggi è facilmente reperibile su YouTube. Mostra la prima presentazione del Macintosh in pubblico, un documento straordinario per forza comunicativa e visione del futuro. Jobs lo presenta come se fosse una persona, forse avendo già in mente il rapporto che avremo con l’Intelligenza artificiale. Non è ancora il guru in girocollo, severo e immaginifico. È giovane, sorridente, in papillon. Lo slogan è «insanely great», follemente grande, altra impronta del genio in perenne equilibrio tra «fame e follia».