spiritualità

Renato Zero fa il suo "Atto di Fede". Per la prima volta in concerto al Circo Massimo di Roma

«Sarò un gladiatore al Circo Massimo». Seduto sotto la statua del Marco Aurelio in Campidoglio, Renato Zero annuncia i quattro grandi eventi romani in programma il 23, 24, 25 e 30 settembre. Con «ZeroSettanta» il Re dei sorcini festeggerà 70 anni, anche se con un ritardo di due anni a causa della pandemia. «Atto di Fede» è il nuovo lavoro discografico in forma di oratorio in uscita domani, in cui alterna canzoni e lettere affidate a filosofi, attori, giornalisti, sportivi, politici, religiosi e pensatori. Tra loro Castellitto, Veltroni, Buttafuoco, Lella Costa, Giovanni Soldini, don Antonio Mazzi, Mario Tronti, Clemente Mimun, Domenico De Masi, Luca Bottura, Marco Travaglio, Cazzullo, Farinetti e Alessandro Baricco.

Renato Zero, perché ha sentito la necessità di fare questo «Atto di Fede»?
«Sono arrivato a un traguardo al quale ambivo da tempo. Accarezzare Dio da vicino, fargli i complimenti per avermi gestito e aver lasciato intatta la mia Fede che è tanto utile quando ci si avvicina agli altri. La Fede è la chiave che ci permette di osare, andare oltre le nostre capacità e potenzialità. La Fede ci dà il coraggio di saltare per prevaricare il dubbio e il sospetto. Dobbiamo avere il coraggio di sentirci difettosi e inadeguati».

  

Oggi parlare di Fede suona come un atto di coraggio. Cosa manca alla nostra società?
«Dio non lo frequentiamo più, abbiamo lasciato che la stanchezza intellettuale ci impedisse di raggiungerlo. Eravamo ottimi cristiani anche prima di passare dal confessionale. Buoni dentro e pazienti al punto che, una volta raggiunto un risultato, per gustare tutto il suo effetto potevano trascorrere giorni e settimane. Il prete riusciva a conquistarsi tutta la famiglia senza ricorrere ai santini, alle benedizioni o alle promesse di un percorso immacolato. Oggi, invece, ci siamo ammalati di indifferenza ed è più facile giocare tre numeri al lotto».

Nel nuovo album vengono recitate le lettere scritte da quelli che lei ha definito i suoi «Apostoli della comunicazione». Com’è nata la collaborazione con loro?
«Nelle loro parole ci sono spunti talmente forti ed efficaci che rimettono in gioco la nostra voglia di cambiare. Le eccellenze ci fanno sentire tutelati. Per questo ho fatto un appello agli amici. Non mi sentivo di gestire da solo la filosofia di questo avvicinamento alla Fede. Ciascuno di loro è diverso dall’altro, li accomuna solo la poesia. Hanno tutti una grande sensibilità».

Come ha vissuto gli ultimi due anni tra lockdown e pandemia?
«Sono stato lontano dal palco ma vicino al marciapiede. E questo ha mantenuto il mio equilibrio. Per me è stato meno doloroso che per altri colleghi perché ho la capacità di andare a domicilio. I miei sorci li vado a cercare per strada: al Tuscolano, a Monteverde, alla Garbatella. In tutti i quartieri di Roma. Ho la facoltà di essere ovunque: non ho il dono dell’ubiquità ma ci sto lavorando. Mi piacerebbe essere lo zingaro che molti di voi conoscono. Ho curiosità di incontrarvi al mercato non per fare foto ma per portarvi nel cuore».

Come sta oggi la città di Roma?
«Ci sono stati giorni in cui mi sono sentito straniero nella mia città. La politica è diventata davvero troppo invadente. A volte mi chiedo: perché non spostiamo il governo a Torino? Anche perdendo il titolo di capitale d’Italia, tanto Roma è già la capitale del mondo. Liberiamo la città e riconsegnamola ai romani. A Roma manca la voce dei romani».

Intanto a settembre quattro spettacoli al Circo Massimo per festeggiare il suo compleanno con «ZeroSettanta». Che show dobbiamo aspettarci?
«Sarà un concerto diverso tutte le sere, con alcuni degli ospiti del disco che saranno al mio fianco. Quanto agli abiti di scena, la foglia di fico sarebbe un’idea perché in carriera ho indossato davvero tutto. Quando mi preparo per un concerto è un atto mistico. Mi consegno a quel pubblico che si aspetta da me ogni volta emozioni nuove. Vorrei ritrovare tutti i miei fan con un abbraccio che promette un percorso nuovo. Stare insieme non sconfigge solo la solitudine ma crea anche quell’affiatamento che è tanto caro ai miei sorci. Ben venga questo settembre. Sul palco voglio portare anche gli amici, i personaggi che hanno condiviso il mio percorso artistico. Modificherò la playlist tutte le sere per permettere agli ostinati che hanno comprato quattro biglietti di vedere uno show sempre diverso. Ogni spettacolo avrà un copyright. Di Renato Zero ce n’è solo uno, tutti gli altri son nessuno. Con me ci sarà anche un’orchestra molto nutrita con archi, tamburi e una band con sonorità moderne. Riprendo il dialogo con la vita e con Renato per la stima che ho di me stesso».

In «Atto di Fede» lei ha chiamato a raccolta gli amici. Perché in Italia le collaborazioni artistiche sono così rare?
«Quello che manca è la regia. Oggi chi si alza per primo si veste, come diceva mia madre. Nessuno si prende le proprie responsabilità. Ci siamo addormentati e deleghiamo tutto agli altri».

Cosa pensa del conflitto in corso in Ucraina?
«La guerra vuole annientare le differenze, vuole che siamo tutti vittime o carnefici, non accetta l’individualità, annienta la libertà. Mi aspetto che la possibilità di riprendere il dialogo con il palco coincida con la ripresa della vita. Comunque c’era puzza di polvere da sparo anche prima dell’invasione russa. Perché il nostro pianeta non è mai stato tranquillo».

Non è la prima volta che la sua musica si intreccia alla spiritualità. Cosa ricorda di «Zerolandia»?
«L’esperienza di Zerolandia è sempre nel mio cuore. All’epoca la sua chiusura improvvisa è stata una violenza totale, quasi criminosa direi. Succede quando uno diventa troppo popolare e quindi scomodo. Anche Gigi Proietti è uno di quelli che ha pagato cara la sua voglia di aiutare gli altri. Se ricordate qualcuno gli tolse il Brancaccio. Noi abbiamo pianto un amico ma qualcuno si è tolto un peso».

Alcuni artisti cominciano a pubblicare i loro nuovi album solo in versione digitale. In futuro ha intenzione di farlo anche lei?
«Non concepisco sposarsi e non avere la moglie accanto a sé. Per questo sono uno che crede che la fisicità del cd e prima ancora del vinile sia una ricchezza. La loro presenza dà la sensazione di aver vissuto».

Cosa vuole dire ai giovani che si affacciano alla vita e al mestiere di musicista?
«Li esorto a incontrarsi di più e a non usare solo plug-in. La musica è soprattutto condivisione. Il mio scettro lo lascerò a chi fa arte cercando gli altri. Ci dev’essere più fermento. Fare solo il compitino a casa non va bene. I ragazzi devono avere maggiore consapevolezza che crescere è un loro diritto e dovere. Ai giovani dico soprattutto di fare un atto di fede in loro stessi».