La ricerca
Il mercato delle madri in affitto genera ogni anno miliardi di dollari: lo studio di Cricenti
Il mercato delle madri in affitto genera ogni anno miliardi di dollari di fatturato, la quasi totalità dei quali finisce nelle casse delle agenzie di mediazione, quelle che, nell’interesse di una coppia infertile, trovano una donna, che in cambio di soldi, si presta a fare da gestante. E quel giro di affari va a tutto ed esclusivo vantaggio delle agenzie che si occupano di questo mercimonio: se l’affitto di un utero arriva a costare anche più di centomila dollari, solo dieci, quindici, finiscono alla donna gestante, che nella maggior parte dei casi, proviene da zone del mondo povere, ed è povera a sua volta, costretta dal bisogno a prestarsi a una gravidanza per conto terzi.
Il risultato di questo scambio ineguale è un bambino programmato dalla coppia committente, che compra il gamete femminile da una terza donatrice, scelta secondo le caratteristiche desiderate. Queste sono alcune delle critiche che Giuseppe Cricenti (Il mercato del ventre. Il caso della maternità surrogata, Rubbettino, 2025), muove a chi difende questa pratica attraverso la decostruzione del mito della libertà procreativa, del mito del consenso e della libera disposizione del proprio corpo. Si tratta, secondo l’autore, di costruzioni dommatiche che servono a giustificare sul piano bioetico e giuridico, l’attuazione di un desiderio, secondo quella che è oggi la logica dei diritti individuali: ho diritto a tutto ciò che mi fa realizzare come persona.
Il libro smaschera una ipocrisia corrente, che nasconde dietro lo schermo della libertà procreativa non solo lo sfruttamento di una gestante, ma, quale che sia la forma della maternità surrogata, anche fosse gratuita, fa del bambino un oggetto di scambio; fa del bambino il prodotto di una volontà di mercato, che snatura la funzione procreativa ed ha non innocue tentazioni eugenetiche.
Dunque, una pratica di procreazione che, in questo libro, è analizzata per i sui risvolti giuridici, etici, e d anche economici. Questa prospettiva critica, nel libro di Cricenti, è supportata da una riflessione sugli esiti cui può portare il diffondersi degli uteri in affitto: se la surrogazione nasce per ragioni biologiche, per andare incontro alla infertilità di una donna, ciò non toglie che possa essere rivendicata anche da chi può, di natura, avere figli, ma non vuole sopportare i disagi di quei nove mesi di maternità, e dunque preferisce rivolgersi ad una gestante a pagamento. E qui l’idea di procreazione che nel tempo si è accreditata nelle società attuali, verrebbe ad essere snaturata, e non senza esiti negativi.