dopo la sentenza

Caso Ramy, i sindacati: "Gogna ingiusta". E ora la sinistra chieda scusa

Ignazio Riccio

A pochi giorni dalla sentenza che ha assolto i carabinieri coinvolti nell’inseguimento in cui ha perso la vita il 17enne Ramy Elgaml, arrivano le dure reazioni dei sindacati delle forze dell’ordine. Parole di soddisfazione, certo, ma anche un atto d’accusa indiretto, tuttavia preciso, verso una certa sinistra politica e mediatica, accusata di aver strumentalizzato la tragedia per colpire chi ogni giorno garantisce sicurezza ai cittadini. Ora che la magistratura ha fatto chiarezza, il messaggio è inequivocabile: la sinistra chieda scusa. Una sentenza limpida: inseguimento “legale e doveroso”.

La vicenda risale al novembre 2024, quando Ramy Elgaml ha perso la vita a bordo di uno scooter guidato dal 22enne Fares Bouzidi, durante un inseguimento con i carabinieri a Milano. Nei giorni scorsi, il giudice per l’udienza preliminare ha ritenuto non colpevoli i militari, affermando che il loro intervento fu un “adempimento del dovere istituzionale”, e ha invece condannato Bouzidi a 2 anni e 8 mesi di reclusione. Il gup ha parlato di un’azione “necessaria e conforme alla legge”, volta a tutelare non solo la sicurezza pubblica, ma anche quella degli stessi fuggitivi. Una verità limpida, supportata dai fatti e da una ricostruzione tecnica ineccepibile.

USIF: “Una gogna mediatica insopportabile, ora si pretenda rispetto”. A commentare la sentenza è intervenuta l’Unione Sindacale Italiana Finanzieri (USIF), che ha espresso “gioia e sollievo” per una decisione che finalmente restituisce onore e serenità ai carabinieri coinvolti. Ma l’organizzazione non dimentica ciò che è accaduto nei mesi precedenti.
“Questa verità giudiziaria – si legge nella nota – pone fine a mesi di sospetti infondati, accuse gratuite e un clima mediatico velenoso contro i nostri colleghi”. Il riferimento è chiaro: una parte del dibattito politico e giornalistico ha da subito puntato il dito contro i militari, evocando derive autoritarie e parlando di “Stato di polizia”. L’USIF si chiede: “Chi restituirà la pace alle famiglie dei carabinieri, costrette a subire l’umiliazione pubblica e l’odio diffuso? Troppo spesso chi indossa una divisa viene insultato senza alcuna prova. Ora basta: servono rispetto, dignità e – soprattutto – scuse da parte di chi ha alimentato una narrazione tossica”.

SIAP: “Certa politica ha cavalcato la tragedia per attaccare le forze dell’ordine”. Non meno esplicita la posizione di Giuseppe Tiani, segretario generale del Sindacato Italiano Appartenenti Polizia (SIAP), che denuncia senza mezzi termini il clima creatosi dopo la tragedia. “Alcuni esponenti politici – dichiara – hanno subito cercato il capro espiatorio nei carabinieri, ignorando le evidenze e cercando lo scontro ideologico. La verità era chiara fin dall’inizio, bastava guardare i fatti con onestà intellettuale”. Tiani ha ricordato che “la guida pericolosa e il mancato alt sono all’origine della tragedia” e che i carabinieri “si sono attenuti alla legge”. Con la condanna del conducente dello scooter, “non resta che pretendere le scuse da chi ha parlato di abuso, di violenza, di repressione, quando invece si trattava di un intervento legittimo e necessario”.

ANFP: “Le accuse infondate hanno minato la fiducia nello Stato”. Anche l’Associazione Nazionale Funzionari di Polizia (ANFP) ha commentato con soddisfazione la decisione della magistratura. Per il segretario Enzo Letizia, le polemiche nate intorno al caso Ramy “hanno creato un danno gravissimo alla credibilità delle forze dell’ordine e al loro rapporto con i cittadini”. “Non è accettabile – afferma Letizia – che agenti e militari vengano messi sotto accusa prima ancora che i fatti vengano chiariti, solo perché fa comodo a una certa parte politica imbastire una narrazione di repressione e autoritarismo”. Letizia conclude con un appello chiaro: “Chi ha sbagliato deve assumersi la responsabilità delle proprie parole. Le scuse non sono solo doverose: sono l’unico modo per ripristinare la fiducia tra istituzioni, cittadini e forze dell’ordine”.

Un banco di prova per la sinistra che può solo ammettere l’errore. La sentenza sul caso Ramy non è solo una vittoria per i carabinieri, ma rappresenta un momento di verità per la politica italiana. Non si può più far finta di nulla: le accuse strumentali rivolte alle forze dell’ordine si sono dimostrate infondate e chi le ha pronunciate deve oggi avere il coraggio di ammettere l’errore.