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Iran, l'attivista Moshir Pour su Raisi: "La natura si è vendicata ma non siamo fiduciosi"

 L’impatto collettivo in Iran della morte del Presidente Ebrahim Raisi. Il Tempo lo analizza con Pegah Moshir Pour, italiana di origini iraniane, attivista dei diritti umani e della condizione delle donne.

Come è stata accolta del popolo iraniano la notizia della morte?
«Con questa chiave di lettura: la natura si è vendicata per le tante persone uccise dalla mano di Raisi. Stiamo parlando di una figura che ha compiuto un lungo percorso politico, sin dal 1988. A causa sua sono state uccise migliaia e migliaia di persone. Veniva soprannominato "il macellaio di Teheran" ed era famoso per le esecuzioni di massa. Le restrizioni e le persecuzioni introdotte quando ha conquistato il potere, nel 2021, confermano tutto questo. Dunque, gli iraniani convinti che questo incidente sia legato a una sorta di giustizia divina, hanno iniziato a esultare, anche fuori dal Paese. Non soltanto in Occidente, ma ad esempio anche in Siria, fra gli oppositori di Assad».

 

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Nelle ultime settimane c’era stato un inasprimento delle iniziative di repressione. Appena qualche giorno fa erano state eseguite sette impiccagioni. Ora cosa accadrà su quel piano?
«Ultimamente c’era stata una stretta sugli arresti e le persecuzioni, denunciate da Ong e organizzazioni per i diritti umani. Per quanto riguarda le impiccagioni degli ultimi giorni, le vittime non sono dissidenti, ma persone accusate di vari reati. Cosa che è comunque grave, ancor più considerando le due donne giustiziate. Erano finite in carcere per avere ucciso i mariti reagendo alle violenze subite. Certamente nessuno dovrebbe uccidere, ma va detto che in Iran la donna non ha diritti, e su di lei viene applicata la legge del taglione, "occhio per occhio, dente per dente".

Sulla repressione non credo cambierà nulla, perché la linea politica di Raisi è quella della Guida Suprema Khamenei, di cui era un pupillo. La morte di Raisi accrescerà l’ostilità anti israeliana e anti occidentale del regime?
«Purtroppo sì: per ogni cosa che succede viene data la colpa a Israele e all’Occidente. L’ex ministro Zarif, infatti, dopo la notizia della morte di Raisi ha subito attaccato gli Stati Uniti dicendo che è colpa loro e delle loro sanzioni, che hanno impedito all’Iran di fare manutenzione, in questo caso degli elicotteri. Questa ostilità continuerà fin quando la Repubblica islamica iraniana sarà in piedi».

 

Nelle ore immediatamente successive alla notizia dell’incidente, i media di Stato hanno diffuso notizie fumose ed evidentemente poco credibili. Che cosa ci insegna questo del regime iraniano?
«Bisogna sempre prendere molto con le pinze ciò che la Tv di Stato iraniana trasmette. Nelle prime ore era stato comunicato che Raisi era già in auto. Poi hanno detto che era disperso. Il disordine nella comunicazione del regime è una costante cui ormai gli iraniani sono abituati. Per questo i festeggiamenti sono iniziati subito: i cittadini avevano già capito tutto e interpretato la notizia come un qualcosa di già avvenuto. Questo insegna che in Occidente bisogna aspettare prima di diffondere qualsiasi informazione. La Repubblica islamica vuol sempre mostrare di avere tutto sotto controllo e per questo confonde le acque».

Per la successione di Raisi dobbiamo attenderci piena continuità?
«Sul piano politico sicuramente chi arriverà dopo non si discosterà. Al momento non ci sono nomi capaci di attirare l’attenzione dell’elettorato, ancor più considerando il precedente delle elezioni a marzo, con percentuali bassissime. La guida suprema può anche autonomamente indicare qualcuno. Gli scenari sono tanti e bisogna aspettare».