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Alla finanza non piace la tassa sugli extraprofitti. Bisignani: cosa rischia Meloni

Luigi Bisignani

Caro direttore, agosto, ministri miei non vi conosco. Con la collegialità spedita in vacanza e dopo tre ore di riunione di Consiglio, quando alcuni ministri già pensavano a gonfiare i materassini o a preparare gli scarponcini da trekking, Meloni in versione Robin Hood - copyright Financial Times - ha piazzato il decreto legge sugli extraprofitti delle banche per riaffermare il potere della politica.  Per farlo, ha atteso che il suo vicepresidente, nonché capo delegazione di Forza Italia Antonio Tajani, lasciasse Palazzo Chigi per andare in Belgio alle commemorazioni del disastro di Marcinelle. A quel punto, la premier ha fatto approvare la norma che il fedele ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti - con Salvini convitato di pietra - ha illustrato in non più di tre minuti. Dopo che lo stesso ministro aveva, fino a quel momento, categoricamente negato l’ipotesi di un prelievo straordinario sulle banche.

 

Ma per assestare meglio il ko - e poi eventualmente passare a trattare - nessuno, a partire da Banca d’Italia, ne sapeva nulla. E con essa i più importanti banchieri italiani, Carlo Messina e Andrea Orcel in testa, colti letteralmente di sorpresa dal provvedimento. Tanto meno la novità era stata portata all’attenzione del pre-consiglio. Sono lontani i tempi di Gianni Letta, sottosegretario alla Presidenza, in cui le riunioni dell’Esecutivo erano preparate.  Ma questo blitz rappresenta quello che sarà il nuovo stile del Governo? Oppure magari, in questo caso, è stato orchestrato solo per raccogliere applausi dal popolino e abbassare le temperature agostane dopo la bufera per le dichiarazioni di Marcello De Angelis sulla strage di Bologna? 

L’ex direttore de Il Secolo d’Italia, è stato il primo affascinante mentore politico della premier. Pittore, grafico, musicista, senatore, eretico, sempre bastian contrario: insomma, non uno qualunque, nonostante abbia spesso camminato «on the wrong side of the street», convinto delle proprie idee ma pur sempre nel rispetto delle istituzioni. Pochi ricordano - come invece abbiamo fatto di recente Paolo Madron ed io ne «I potenti al tempo di Giorgia» - del dolore della famiglia De Angelis per Nanni, il fratello di Marcello accusato in un primo momento proprio della strage quando si trovava a centinaia di chilometri dalla stazione, un caso Cucchi ante litteram che evidenzia un passato con il quale, prima o poi, politicamente bisognerà fare i conti. 

Al momento, però, non si riesce a far tornare i conti nei mercati finanziari, con la Borsa che, qualunque sia la finalità della norma sugli extraprofitti, ha comunque bruciato in un giorno oltre 10 miliardi, riducendo così il valore delle azioni degli istituti di credito italiani. E in attesa di capire che forma prenderà il decreto dopo il suo passaggio in parlamento come denunciano Antonio Tajani e Paolo Barelli di Forza Italia.

 

E mentre Meloni propaganda una nuova versione dell’Italietta, il nostro Governo si presenta, come sottolinea il Financial Times, con una alta incertezza legislativa, introducendo continuamente nuovi «tetti», tasse retroattive, regole di negoziazione dei crediti fiscali. Il tutto senza illustrare le possibili conseguenze sugli investimenti e sulla credibilità del Paese.  Ormai ad ogni Consiglio dei ministri si teme la «sòla last minute», con Giorgetti costretto a correre spessi ai ripari, come nel caso degli extraprofitti, tempestato, tra l’altro, da email di protesta di banchieri ed economisti che lo hanno costretto il giorno dopo a indorare la pillola riducendo il tetto del prelievo sugli extra profitti. Quelli che la premier, sollevando perplessità anche all’interno della sua maggioranza, ha definito «profitti ingiusti».

«Chi mai investe in un Paese dove, senza preavviso, si possono saccheggiare 4 miliardi e, come se non bastasse, in modo retroattivo?» è quanto si sono chiesti alcuni tecnici del settore e gestori di fondi di private equity. Per evitare la tassazione extra e aggirare il provvedimento, le banche non faranno altro che spostare il proprio business dai prestiti alle imprese (soprattutto le piccole) e dall’investimento in BOT verso altre forme. Il risultato è semplice da immaginare: credit crunch (stretta creditizia) e recessione in arrivo, meno sottoscrizione di titoli di Stato, spread in aumento e più buoni del Tesoro in mano straniera visto che le banche, che ne hanno già più di 800 miliardi nei loro portafogli, ci penseranno bene prima di esporsi ulteriormente. 

Un boomerang potenzialmente drammatico dunque, quando l’ipotesi di applicare una sovrattassa una tantum sugli utili totali delle banche, magari concordata proprio con queste ultime, non è stata presa in considerazione. Così come l’idea di mettere un tetto all’interesse sui mutui per i giovani e le famiglie in difficoltà. Grazie al meccanismo della nuova imposta, le banche saranno incentivate ad aumentare i prezzi dei servizi ed erogare meno credito anche ai consumatori. Il Governo, nel silenzio assordante del CdM, dimostra poca lucidità quando affronta argomenti di rilievo economico generale, come la lievitazione dei prezzi o la mancanza di materie prime sul mercato. Meglio sarebbe stato se i nostri ministri si fossero focalizzati sull’eccesso di concentrazione in alcune aree dell’economia e sulle pratiche anti concorrenziali che vengono poste in essere anche da grandi aziende di Stato, a cominciare dal settore dell’energia. Un rafforzamento della legislazione antitrust e delle authorities di controllo di certo sarebbe stato più efficace e potenzialmente meno dannoso rispetto ad alcuni provvedimenti spot che hanno poi bisogno di correzioni.  Ma non è che Giorgia, rivedendo anche il perimetro dell’utilizzo delle intercettazioni, vuole ampliare il suo campo e abbracciare pure le idee populiste grilline, pensando magari a elezioni anticipate per fare poi l’en plein con alleati meno ingombranti?