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Cop27 di Sharm El-Sheikh, l'accordo è un flop: zero tagli al fossile

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Tommaso Carta
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L'approvazione del documento finale della Cop27 di Sharm El-Sheikh, in Egitto, segna un passo avanti con l'approvazione del fondo «loss & damage» per i Paesi più a rischio di fronte al cambiamento climatico e il salvataggio dell'obiettivo di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi Celsius rispetto all'epoca preindustriale, ma anche una diffusa delusione per gli sforzi ritenuti da più parti insufficienti per limitare l'impiego dei combustibili fossili e perla mitigazione del clima.

 

I Paesi emergenti, che stanno subendo inondazioni, siccità, carestie, ondate di calore e tempeste per il cambiamento climatico, pur avendo emesso una piccola frazione dell'inquinamento da carbonio che traina il riscaldamento globale, potranno beneficiare del contribuito dei Paesi che per la prima volta hanno deciso di pagare i danni che il cambiamento climatico sta causando su scala globale, ma non in egual misura per tutti. L'accordo della plenaria, raggiunto all'alba di ieri, non affronta la causa principale del riscaldamento globale, l'uso di combustibili fossili.

 

L'accordo non arriva a inasprire le richieste di riduzione delle emissioni, ma è riuscito a mantenere l'obiettivo globale di limitare il riscaldamento a 1,5 gradi. La presidenza egiziana ha continuato a sostenere proposte che si rifacevano alla Cop di Parigi del 2015, che menzionava anche un obiettivo meno rigido di 2 gradi. Inoltre, il documento include un velato riferimento ai benefici del gas naturale come energia a basse emissioni, nonostante molte nazioni chiedano una riduzione graduale del gas naturale, che contribuisce al cambiamento climatico.

Il segretario generale delle Nazioni Unite, António Guterres, ha parlato di «passo importante verso la giustizia», accogliendo «con favore la decisione» di istituire il fondo «loss & damage». «Non sarà sufficiente, ma è un segnale politico indispensabile per ricostruire la fiducia infranta», secondo Guterres, che promette che l'Onu sosterrà «questo sforzo a ogni passo».

 

La delusione è assai marcata tra le fila dei funzionari europei. Per Frans Timmermans, vicepresidente esecutivo della Commissione europea, il risultato «non è un passo avanti sufficiente per le persone e per il pianeta», poiché «non aggiunge abbastanza sforzi da parte dei principali emettitori per aumentare e accelerare i tagli alle emissioni» di anidride carbonica. «Abbiamo tutti fallito nelle azioni per evitare e minimizzare le perdite e i danni. Avremmo dovuto fare molto di più», ha rimarcato. Secondo la presidente Ursula Von der Leyen «la Cop27 segna un piccolo passo avanti verso la giustizia climatica, ma per il pianeta serve molto di più. Abbiamo trattato alcuni sintomi, ma non abbiamo curato il paziente dalla febbre». Von der Leyen ha commentato con favore il fondo «loss & damage» e il target di 1,5 gradi, sottolineando che l'accordo «purtroppo, però, non ha portato all'impegno dei principali emettitori mondiali di ridurre gradualmente i combustibili fossili, né a nuovi impegni sulla mitigazione del clima».
L'Ue, invece, «manterrà la rotta, in particolare attraverso il Green Deal europeo e RepowerEu», per difendere le ambizioni dell'Accordo di Parigi.

Anche per il ministro dell'Ambiente e della Sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin l'approvazione finale del pacchetto di decisioni «rappresenta un passo positivo», ma «meno soddisfacenti sono stati i risultati ottenuti sul fronte cruciale delle azioni di mitigazione, dove si è probabilmente persa un'occasione importante». Di base c'era la difficoltà di raggiungere un accordo determinata dalla situazione internazionale. Non solo per il cambio delle politiche energetiche dei Paesi in seguito alla guerra in Ucraina, ma per i rapporti tra i vari Paesi peggiorati a causa del medesimo conflitto. Un punto evidenziato da Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega italiana per la Difesa degli Animali e dell'Ambiente. «Sorge legittimamente il dubbio sull'efficacia di queste maxi-conferenze, soprattutto in momenti di tensione geopolitica che non favoriscono (per usare un eufemismo) gli accordi tra i maggiori responsabili delle emissioni».

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