ripudiano la realtà

Pacifisti a senso unico. Quel retaggio del Pci che fa tifare per Putin

Riccardo Mazzoni

In Italia - ma non solo - sulla guerra in Ucraina è in atto un nuovo dialogo tra sordi, esattamente com’è avvenuto per il Covid, e se nel caso del virus il negazionismo nasceva dall’antiscientismo, il retaggio «pacifista» che ripudia la realtà dei missili russi e oscura le coscienze trova invece le sue radici nell’antiamericanismo, malattia senile di tanta intellighenzia occidentale. Secondo l’ultimo sondaggio Demos, quasi la metà degli italiani ritiene l’informazione sul conflitto «distorta e pilotata», mentre uno su quattro la giudica addirittura faziosa, con il corollario disperante di percepire le immagini dei massacri come artefatte dai media. Insomma, per questa fascia non marginale di opinione pubblica le devastazioni che ci giungono in tempo reale dalle città ucraine sarebbero solo un’illusione ottica indotta dalla propaganda occidentale. 

 

Sono dati che fanno riflettere, perché questo sentiment si è diffuso sotto la pelle del Paese senza nemmeno bisogno delle martellanti fake news fabbricate dal regime di Mosca. Ma non c’è bisogno di un’approfondita indagine sociologica per risalire alle cause di questo negazionismo: basta parlare con qualche conoscente che in gioventù era stato convinto dal Pci che l’Urss era il paradiso in Terra, al punto da tifare per la Nazionale sovietica quando incontrava l’Italia. Resta insomma una fazione di irriducibili che non si rassegna a prendere atto della sconfitta storica del comunismo e sogna ancora la rivincita, per cui l’invasione dell’Ucraina appare ai loro occhi, magari solo in modo subliminale, come un’occasione di riscatto per la Grande Madre Russia. Il ragionamento che fanno è più o meno questo: «Il modo con cui le televisioni ci stanno descrivendo la guerra è nauseante... mi fanno diventare simpatico perfino Putin, che finora per me era stato solo uno dei distruttori, dopo Gorbaciov e Yeltsin, dell’impero sovietico. La guerra è guerra, e da che mondo è mondo significa morte e distruzione: perché dunque tutta questa enfasi? E perché non c’è stata altrettanta indignazione quando l’America ha fatto per decenni le sue porcherie in mezzo mondo, dal Vietnam ai golpe in America Latina fino alle guerre in Libia, contro la Serbia e poi in Iraq e in Afghanistan?». 

 

È del tutto inutile, davanti a una pregiudiziale ideologica così assoluta, replicare che gli Stati Uniti hanno certo commesso errori anche tragici nella loro storia, ma che senza lo sbarco in Normandia tante generazioni europee avrebbero probabilmente vissuto sotto il nazismo, e che una cosa sono stati i conflitti per esportare la democrazia – anche se è una dottrina palesemente fallita – e altra invece è un’invasione tesa a cancellare uno Stato sovrano e la sua democrazia. È una distinzione che non fa presa in chi intimamente sente ancora l’Occidente come il suo nemico ancestrale, un mondo di disuguaglianze che dovrebbe fare penitenza per il suo passato coloniale, ma soprattutto per aver vinto il comunismo, che è stato un incubo per centinaia di milioni di persone, ma che nella mente di questi inguaribili nostalgici resta un’utopia non realizzata ma giusta per il progresso umano. È lo stesso negazionismo che induce a leggere con gli occhiali distorti dell’ideologia le attuali, tragiche vicende ucraine: si nasconde la realtà dei fatti descrivendo la guerra in atto come uno scontro tra opposte volontà violente, chiedendo a entrambi i contendenti di «fermarsi» senza mai distinguere tra i criminali di guerra e i civili massacrati, o tra gli aggressori e i resistenti. E quasi intimando a Zelensky di giustificarsi perché non si arrende.