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L'India taglia i fondi alle missionarie di Madre Teresa. Suore al verde, ora intervenga il Papa

Luigi Bisignani
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Caro direttore, dai cappelletti di nonna Rosa a Buenos Aires alla pubblica gogna. La Chiesa di Bergoglio sembra insensibile, per il momento, al grido di dolore che arriva dall’India, in particolare dalle Missionarie della Carità fondate da Madre Teresa di Calcutta. L’allarme è in alcuni dispacci, inviati alla Segreteria di Stato, ma hic et nunc secretati.

 

Sono firmati da un vecchio amico della Santa, il cardinale Oswald Gracias presidente della Conferenza dei Vescovi. I report danno notizia che il governo indiano ha bloccato i finanziamenti dall’estero; una ritorsione religiosa per le circa 6.000 religiose e 22 mila tra dipendenti e beneficiari di Santa Teresa -premio Nobel per la pace nel 1979- che ogni giorno offrono conforto ai bisognosi in circa 800 case sparse in 130 Paesi, 18 delle quali in Italia, di cui 5 a Roma dove, in quella vicina al Circo Massimo, si può ancora visitare la stanzetta della Santa: una minuscola celletta di tre metri per quattro con una lampadina penzolante dal soffitto.

 

L’ordine di bloccare i fondi e i conti correnti, denunciati anche dal New York Times, viene dalla polizia del Gujarat, Stato d’origine del primo ministro indiano Narendra Modi. Con il blocco delle offerte,circa 750 milioni di dollari che arrivano a Calcutta da tutto il mondo, tutto l’universo costruito da Madre Teresa rischia uno stop. Francesco, che nel 2016 proclamò Madre Teresa Santa, non è fino ad oggi intervenuto. Ha rivolto finora la sua attenzione verso casi che finiscono più facilmente sui media. Il processo spettacolo contro il cardinal Becciu e altri 9 imputati ne è un esempio, reso possibile da un «rescriptum» del Sommo Pontefice, una vecchia formula, mutuata dal diritto romano dell’età imperiale, che in sostanza vuole dire «per legge non sarebbe previsto, ma in questo caso si fa così perché lo autorizzo io».

La Santa Inquisizione nasce nel 1215, con il IV Concilio lateranense, per garantire un giusto processo a quei dissidenti che Federico II perseguitava con false accuse di eresia. Nel 2021 il Pontefice è riuscito a essere citato nelle università come raro caso ancora esistente di monarca assoluto. In quale ordinamento giuridico è ammissibile, infatti, che l’accusa chieda il rinvio a giudizio di imputati che, per la gioia dei laici, non è stato neppure mai interrogato? In quale ordinamento giuridico moderno verrebbe permesso all’accusa di disubbidire platealmente al presidente del Tribunale che impone di esibire i verbali di un accusatore (uno solo) entrato nell’inchiesta come principale imputato e «archiviato», sembra, solo per grazia divina? E ancora, in quale ordinamento giuridico verrebbe ancora tollerato che l’intero tribunale misconosca la gerarchia delle leggi vaticane e si richiami a leggi italiane del 1913 mai recepite dallo Stato del Papa? Al contrario, di processi sommari la Chiesa oggi è piena in quanto ormai è sufficiente scrivere una lettera al Papa che accusi qualcuno di un fumus a sfondo sessuale perché cali la mannaia.

 

Seppur con qualche rara eccezione, come nel caso dell’elettricista argentino Gustavo Zanchetta, ordinato Vescovo su indicazione del Papa e chiamato a ricoprire indisturbato un ruolo delicato nell’Amministrazione della Santa Sede, pur essendo stato accusato - con un mandato di cattura internazionale - di violenze sessuali. Non hanno invece beneficiato della stessa sorte il primate di Francia, cardinale Philippe Barbarin, il primate di Germania, cardinale Rainer Maria Woelki, l’arcivescovo di Parigi Michel Aupetit e molti altri presuli invisi al «cerchio criollo» di Bergoglio. La mannaia è scesa anche sul cardinale ghanese Peter Turkson rimosso dal Dicastero dello Sviluppo Umano Integrale, logorato da conflitti interni. Turkson, considerato uno dei papabili assieme a Robert Sarah della Guinea, non è il primo prefetto di peso che salta: analogo destino ha colpito il cardinale Gherard Mueller, a cui non è stato rinnovato l’incarico dopo un solo mandato al vertice della Congregazione per la Dottrina della Fede. Eppure Francesco, riferendosi al Vangelo di Matteo, ha inciso sul proprio stemma «Miserando atque eligendo» che significa «lo guardò con misericordia e lo scelse».

Fin dal principio del suo cursus romano ha fatto precipitare la gestione della giustizia a colpi di «rescripta» per modificare processi in corso, turbando profondamente i cardinali che ancora attendono dopo sette anni una riforma della Curia. Ma, come spesso accade, saranno i piccoli gesti ad essere ricordati: lo schiaffo alla fedele cinese durante l’udienza generale e quello che Francesco ha disposto per il Capitolo di San Pietro. Da secoli era composto da una ventina di ecclesiastici che vantavano un onorato servizio per la Chiesa. Curavano tre volte al giorno la recita corale del breviario e illustravano con la loro sapienza la vita liturgica della Basilica. Ricevevano un «benefico» di 2.200 euro al mese e ne sono rimasti solo 7; tutti gli ottantenni sono stati dichiarati «canonici emeriti» e, con la scusa di essere ormai esentati dal prestare servizio, anche privati del sussidio.

Così, proprio di fronte a Casa Santa Marta, 21 ultra-ottantenni si ritrovano senza alcuna forma di assistenza. Una svista con la sola finalità, stando ai corvi che si aggirano su San Pietro, di sequestrarne il tesoro millenario. E sono ormai tanti in Vaticano che vedono aleggiare, a parti invertite, lo spettro dell’imperatore svevo Federico II che fu, sì, «stupor mundi» per la sua coerente lungimiranza, ma anche un sovrano tra i più determinati. Evidentemente nel governo della Chiesa fa premio per Bergoglio un altro insegnamento che viene da Gesù: «Necesse est enim ut veniant scandala», il cui significato si riassume: «È infatti necessario che avvengano scandali». Ma la giustizia divina è la sola e vera giustizia, e noi credenti comunque non dimentichiamo mai di pregare per Bergoglio che troverà certamente il modo, con il governo indiano, di riportare la serenità alle suorine di Madre Teresa. 

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