gestione approssimativa

Il caso del "Salvator Mundi" restaurato e poi rubato dalla chiesa a Napoli

Valeria Di Corrado - Alberto Di Majo

Capolavori catalogati come «croste», opere lasciate a fare la polvere nei depositi dei musei, dipinti danneggiati e quadri rubati dalle chiese come fossero monetine dall'offertorio. Sono tanti gli esempi che dimostrano la trascuratezza con cui spesso viene trattato il nostro patrimonio artistico. Nell'estate del 2019, in una stanza del Viminale, sotto la supervisione dell'allora sottosegretario all'Interno Stefano Candiani, sono stati restaurati in contemporanea la Gioconda Torlonia (di proprietà della Galleria nazionale di Palazzo Barberini, ma lasciata in prestito alla Camera dal 1925) e il Salvator Mundi (di proprietà del Fec, Fondo edifici di culto, ed esposto al museo Doma nella basilica di San Domenico Maggiore a Napoli).

 

Questa seconda opera, datata 1508-13 e proveniente dall'antica cappella della famiglia Muscettola nella basilica napoletana, è stata incredibilmente rubata dalla Sala degli arredi sacri lo scorso gennaio, e ritrovata pochi giorni dopo in un appartamento a Napoli, di proprietà di un commerciante 36enne di Ponticelli senza precedenti, poi accusato di ricettazione. Un «furto all'insaputa» di tutti: non era stato denunciato alle autorità, il priore della Basilica addirittura non ne sapeva nulla. L'armadio nel quale era custodito, chiuso semplicemente con una chiave, non presentava segni di effrazione.

Il dipinto, che raffigura il Cristo Benedicente, è tratto da uno recentemente attribuito a Leonardo da Vinci e comprato nel 2017 all'asta di Christie's a New York per 450 milioni di dollari dal principe ereditario saudita, Mohammed bin Salman. È stata la vendita record di sempre per la casa d'aste americana, che l'aveva presentata come «la Gioconda maschile» e l'ultimo dipinto del maestro ad esistere in mani private.

 

 

Nel 2019 doveva essere esposta al Louvre, ma il museo parigino non si sarebbe piegato alle richieste dell'Arabia Saudita di mostrare l'opera come autografa di Leonardo. Da quando il dipinto è stato venduto all'asta, nessuno l'ha più visto. L'intenzione era di farne la punta di diamante del museo di Abu Dhabi, sempre a marchio Louvre. Invece, secondo indiscrezioni, si trova sul panfilo del principe.

La riflettografia eseguita sul Salvator Mundi di Napoli, come per la Gioconda Torlonia, ha dimostrato che è stato realizzato sulla base di un cartone preparatorio disegnato probabilmente da Leonardo, la cui impronta sarebbe poi stata seguita dai suoi allievi. Si vedono infatti, in corrispondenza del ricamo della veste, i buchetti lasciati dal cartone. «Non possiamo escludere che anche in quest'opera il maestro abbia partecipato direttamente ai lavori», ha spiegato la famosa restauratrice Cinzia Pasquali. D'altronde è una delle sole tre (compreso il dipinto di Leonardo) che vengono replicate fedelmente in un’incisione del 1650 di Wenceslaus Hollar. Quindi anche questo quadro, come la Monna Lisa della Camera, potrebbe valere diversi milioni di euro. E chissà che valga addirittura di più di quella comprato dal principe saudita.