la solita sinistra

Ordinanza anti-prostitute a Terni, ecco perché il femminismo da salotto si indigna solo ora

Arnaldo Magro

Dal 1° ottobre 2021 al 31 gennaio 2022 è vietato «porre in essere comportamenti diretti in modo non equivoco ad offrire prestazioni sessuali a pagamento». «È dunque vietato mantenere un abbigliamento indecoroso,ovvero mostrare nudità». Questa, in sostanza, l’ordinanza firmata da Leonardo Latini, sindaco di Terni. Con il chiaro intento di contrastare la prostituzione in alcune zone ben note della città umbra.

 

Un’ordinanza come tante ne vengono emesse in diversi Comuni italiani con variazioni sul tema. Ad esempio quelle del 2017 del primo cittadino di Firenze Dario Nardella e di Rimini Andrea Gnassi; entrambi del Partito democratico. Accolte con una certa tranquillità.

 

Allora qual è il problema che apre un caso ternano? Il problema è che il sindaco di Terni Latini è della Lega. E allora va sbertucciato. Come osa costui imporre il vestiario alle donne? Chi si crede di essere per vietare alle donne minigonne e scollature? Come si può dedurre che una donna stia o meno esercitando la professione, solo in base al vestiario? Basterebbe percorrere con gli occhi di un bambino, la Salaria alle ore dieci del mattino ad esempio, per capire che quelle signore non stanno aspettando l’autobus. Non è così difficile. Ma subito parte il fuoco di fila del femminismo nostrano. Quello pronto a muoversi a comando ed a corrente alternata.

 

Quello che resta muto sullo sfruttamento violento delle «schiave del sesso», ostaggio di uomini senza scrupoli, o che gira la faccia dall’altra parte sulla segregazione della donna che è una componente identitaria del mondo islamico. L’avvocato Carmen Di Genio, del Comitato Pari Opportunità della Corte d’Appello di Salerno, disse nel 2017: «Non possiamo pretendere che un africano sappia che in Italia, su una spiaggia, non si può violentare, probabilmente non conosce questa regola». Tutto a posto. Basta il semaforo verde del femminismo da salotto: è la chiave universale del politicamente corretto in versione rosa.