vergogna italiana

Amatrice, dopo 5 anni non hanno ricostruito neanche una casa

Franco Bechis

Questa mattina ad Amatrice al quinto compleanno del tragico terremoto le poche centinaia di terremotati che tenacemente sono restati lì vedranno sfilare il quinto capo di governo da quel giorno. Il primo fu Matteo Renzi, che partecipò ai funerali. Poi nella staffetta venne Paolo Gentiloni. L’anno dopo fu la volta del Giuseppe Conte di destra, che videro teleguidato da Rocco Casalino che lo fece avvicinare alla gente in maniche di camicia bianca facendo in modo che mai potesse incontrare e stringere la mano a favore di camera o telecamera al Governatore del Lazio, Nicola Zingaretti che era ovviamente lì per la ricorrenza. Hanno visto anche il Conte di sinistra poi quella mano stringere perché non faceva più scandalo: i due erano divenuti alleati. Oggi è il turno del capo del quinto governo in cinque anni: Mario Draghi.

 

 

 

Il tuo browser non supporta il tag iframe

 

 

 

C’è stato un po’ meno affollamento nel passaggio delle consegne fra chi aveva il compito istituzionale di occuparsi di loro: i commissari per la ricostruzione, che sono stati quattro. Il primo fu Vasco Errani, che Renzi voleva tenersi buono, ma che aveva altri progetti politici ed è durato poco. Poi prese il suo posto Paola De Micheli, che ambiva ad altro e infatti divenuta ministro lasciò il testimone a Paolo Farabollini, scelto dai cinque stelle. Come Conte in realtà Farabollini fu uno e bino. Perché siccome non si dava una mossa e manco aveva l’attitudine del politico a tranquillizzare la povera gente con un fiume di parole, fu affiancato da Vito Crimi che ottenne la delega alla ricostruzione come sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Anche lì però appena preso il dossier in mano Crimi ne fu distratto dalla passione politica, divenendo il reggente del M5s dopo le dimissioni di Luigi Di Maio da capo politico. Crimi e Farabollini hanno così lasciato il passo a un altro commissario, che tutto avrebbe voluto meno quell’incarico. Ma era il solo a disposizione di Giovanni Legnini che nella vita aveva già fatto un po’ di tutto, ed è stata una benedizione: senza altre ambizioni più in campo, qualcosa si è finalmente mosso, le macerie non ci sono più e ad Amatrice e dintorni sono stati aperti ora duecento cantieri, con due grandi gru che testimoniano come qualcosa finalmente si sia mosso.

Ma i cantieri non procedono con il passo di Marcell Jacobs sulla pista dei cento metri, e alla fine il risultato è questo: a cinque anni dal terremoto nessuna delle case o dei palazzi che vennero giù è stato tirato su. La ricostruzione è stato un bell’ufficio di collocamento per uomini politici, funzionari e professionisti. Ma non si è ricostruito un fico secco. E la storia del terremoto del centro Italia del 2016 (con la coda grave del 2017) resterà come una delle grandi vergogne della storia di questo paese. Chi è rimasto lì vive da quando le ha ricevute nelle casette, le cosiddette Sae, che così si chiamano perché la sigla significa «soluzioni abitative di emergenza» ed erano buone per ospitare per brevi periodi, tanto che hanno una data di scadenza come i latticini (e ormai ci siamo). Quelle terre sono una vergogna sulla coscienza di tutti loro e anche di tutti noi, che ne riparliamo ora perché scatta l'orologio della tragica ricorrenza.

 

 

 

Il tuo browser non supporta il tag iframe

 

 

 

Ero lì ad Amatrice quella mattina poche ore dopo la scossa, quando ancora non era arrivata la protezione civile e i soli a scavare nelle macerie erano i carabinieri accorsi da ogni caserma e stazione della provincia. Ancora oggi sento un nodo in gola ricordando una donna in ciabatte che urlava la sua disperazione a Sant’Emidio, che avrebbe dovuto proteggerli dai terremoti e invece aveva fatto perdere la vita a sua sorella e a tanti altri parenti e amici i cui corpi venivano composti come si poteva in un garage di fortuna. Il tempo avrà curato quella terribile ferita, e magari anche con Sant’Emidio quella donna si sarà rappacificata. Ma un discorsetto a quattro occhi dovremmo farlo con San Thomas Moore, patrono dei politici e dei governanti. Se mai dovesse staccare la spina per qualche tempo a questa masnada di uomini-disastro, prometto che gli sarò devoto il resto della vita...