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Taglio degli stipendi, in Vaticano scoppia la rivolta

Angela Bruni
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Se tutto il mondo è «paese», il Vaticano non fa eccezione. E così come ogni riforma o taglio che si rispetti, anche quella messa in atto da Papa Francesco comincia ad avere le sue prime opposizioni. È stata infatti avviata una petizione dei dipendenti vaticani ai tagli agli stipendi imposti il 24 marzo scorso. Dichiarando «amarezza» per le modalità del provvedimento, i lavoratori della Santa Sede chiedono a Bergoglio di incontrare una loro delegazione, non senza aver prima evidenziato «le enormi criticità che caratterizzano l’intero sistema e che lo inducono a sprecare molto denaro» e la necessità di un «rigido inquadramento salariale dei dirigenti laici entro limiti ben precisi, coerenti con lo spirito di servizio e sacrificio cui ci si appella sempre rivolgendosi a noi impiegati.

 

 

 

Per cosa stiamo pagando, Santità? Per le casse dell’Obolo destinato ai poveri, per aumentare gli stipendi ai dirigenti laici o per le costosissime consulenze esterne di cui si servono regolarmente?», è la drammatica domanda posta dai dipendenti vaticani, che puntano il dito contro i «vantaggi eccezionali» su cui invece a loro dire possono contare i manager laici: «Occupano splendidi appartamenti dell’Apsa, posizionati nelle zone più prestigiose di Roma, senza corrispondere alcun affitto all’Amministrazione in questione (si potrebbe fare un calcolo delle mancate entrate da affitti per gli immobili occupati per "privilegio") e senza farsi carico di alcuna spesa di ristrutturazione, contrariamente a noi impiegati che paghiamo tutto - si legge nella petizione - Oltre alla gratuità dell’affitto vorremmo menzionare macchine per uso privato, sconti sugli acquisti, segretari ad essi dedicati, rimborsi spese di varia natura». «Il vero problema è che il Vaticano è basato su un sistema di privilegi che risultano deleteri sia a livello economico che reputazionale», si sottolinea nel documento evidenziando come ad esempio i contratti «fuori parametro» dei manager laici «non smettono di destare stupore, variando dai 6.000 ai 10.000 fino ai 25.000 euro mensili. Troppo, per un sistema come il nostro, che dovrebbe basarsi sullo spirito di "servizio alla Chiesa".

 

 

 

A nostro parere, occorrerebbe un approfondimento in merito ed eventualmente una riforma. Ciò che è più grave - si sottolinea - in riferimento al Motu Proprio, è l’esclusione delle categorie più agiate dalla decurtazione degli stipendi nonostante il riferimento, all’interno della lettera apostolica, a criteri di "proporzionalità e progressività"». Nulla di nuovo insomma sotto il cielo di Roma. 

 

 

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