un altro mese chiusi

Chiusure, la morte del commercio: "Resistiamo fino a Pasqua, poi la fine". I numeri del disastro

Damiana Verucci

Centoventicinque milioni di reddito al giorno bruciati negli ultimi dodici mesi dal mondo delle imprese e del lavoro autonomo, per un calo complessivo di quarantacinque milioni di euro. E' questo il prezzo della crisi economica innescata Fí dalla pandemia, anche considerando i ristori, o quelli che il Governo chiama tali ma che tali non sono per chi ogni giorno, in Italia, alza la saracinesca della propria attività. I lavoratori tutti, dipendenti, imprenditori e collaboratori, ma anche professionisti e patite Iva, stanno pagando a caro prezzo le difficoltà vissute nell'ultimo anno e non hanno certo avvertito il cambio di passo, che forse si aspettavano, dal Governo Conte al Governo Draghi.

L'Osservatorio Confesercenti nazionale è a dir poco impietoso anche sul fronte occupazione indipendente: in 12 mesi sono spariti 259 mila autonomi, un vero e proprio record in Europa, licenziati da una crisi che non sembra davvero avere fine. Gli imprenditori continuano a fare sacrifici su sacrifici e ci sono settori che probabilmente più di altri si rialzeran no, se riusciranno, con maggiore fatica, come la ristorazione, che sta subendo un colpo micidiale con 34,4 miliardi di euro persi nell'ultimo anno secondo Fipe Confcommercio; il turismo, con 14 miliardi di euro andati in fumo (dati Federalberghi), ma anche l'abbigliamento con un numero ogni giorno maggiore di negozianti che sta decidendo di tenere chiuso piuttosto che continuare a spendere. Perché, ed è questo il rammarico probabilmente più grande di chi è a capo di un'Associazione di categoria e si sente chiamato in causa ogni giorno dai suoi associati, «il Governo forse non si rende conto che ogni attività ha dei costi vivi indipendentemente se è aperta oppure no: l'affitto, le bollette, la tassa di occupazione del suolo pubblico, la Tari».

Patrizia De Luise, oltre che essere la presidente di Confesercenti nazionale è anche una commerciante e sa bene cosa significa por t are un'attività in queste condizioni di emergenza. I ristori, o meglio i sostegni come piace chiamarli al nuovo esecutivo, li bolla così, «un'elemosina, piuttosto alle imprese servirebbe altro». Cosa? «Subito il blocco di tutte le spese vive - è la risposta della Presidente - Parlo ad esempio delle bollette e delle utenze in generale. E invece si è deciso di dare una media di 3 mila euro ad impresa e que sto sarebbe il cambio di passo? Noi non subordiniamo l'attività economica alla salute e ci siamo adeguati alle restrizioni ma dopo più di un anno durante il quale la maggior parte degli imprenditori ha attinto alle proprie risorse per sopravvivere, la pazienza è finita». Per di più agli imprenditori stato chiesto in una prima fase di adeguarsi a protocolli e provvedimenti costosi, lo hanno fatto, a loro spese naturalmente, per poi sentirsi dire «chiudete». Questo successo ai ristoranti, ma anche alle palestre, ai cinema, ai teatri.

«I ristori dovrebbero arrivare subito - prosegue De Luise - perché capisco una prima fase di incertezza dovuta alla pandemia e alle scelte di come agire, ma ora la macchina dovrebbe essere consolidata e invece, an che in questa ultima occasione gli imprenditori non vedranno nulla se non prima del prossimo 8 aprile. Intanto chi ha un negozio o un ristorante o un albergo o un'altra qualsiasi attività produttiva ha chiesto un prestito in banca o sta per farlo e cosa succederà quando dovrà rientrare di quel credito? Anche sul fronte affitti, altro grande problema per almeno il 70% di chi sta dietro il bancone di un'impresa, cosa si risolve con il credito d'imposta?». «Quella detrazione data all'affittuario - incalza la presidente di Confesercenti piuttosto sarebbe stata più giusta darla al proprietario delle mura, anche da un punto di vista psicologico per l'esercente sarebbe stato un segnale positivo».

E invece, il Governo sembra stare da un'altra parte rispetto alle esigenze degli imprenditori. questa la sensazione di chi, oggi, ha un'attività produttiva. Senza contare che «le imprese sono tutte importanti ma non sono tutte uguali e il tessuto produttivo italiano è formato per almeno il 90% da piccole aziende, spesso a conduzione familiare, quelle che danno un servizio di presidio speciale, se si spengo no le luci delle loro insegne, si spengono intere strade». Purtroppo non è così difficile possa accadere. «Numeri certi non ne abbiamo - continua De Luise - ma si parla di migliaia di possibili chiusure e fallimenti in Italia nel dopo pandemia».

Perché ci sarà anche un dopo, quello che il Governo non sembra prendere in considerazione, almeno secondo le associazioni di categoria. Che nelle ultime settimane stanno chiedendo con insistenza il blocco dei fallimenti: fallimento dell'azienda significa in primis perdita di lavoro di chi ci lavora. I licenziamenti gli imprenditori non vorrebbero farli perché «formare un lavoratore comporta tempo e impegno costante, non c'è mai voglia di liberarsene ma se un negozio chiude c'è poco da fare o da riflettere». Intervenire subito, dunque, come sta succedendo nel resto d'Europa dove di certo i problemi sono gli stessi ma finanziamenti e tempi di erogazione sono certamente diversi.

«Cosa ci facciamo con le imprese che non resistono perché non hanno più risorse? - domanda la presidente Confesercenti - diamo loro il reddito di cittadinanza? Questa pandemia è stata terribile e hanno pagato il prezzo alto tante vite umane. Ma bisognerebbe volgerla in positivo, dobbiamo fare una riflessione sugli errori commessi, pensare a progetti mirati che non possono essere validi per tutti allo stesso modo. Invece si è perso troppo tempo e ora di tempo non ce n'più. Sa quanti imprenditori mi dicono che possono sopravvivere solo fino a Pasqua e poi dovranno arrendersi? Il Governo, questo, lo ha capito? Ho tanta paura di no. Mi bastato vedere come i famosi 32 miliardi di scostamento di bilancio che sarebbero dovuti andare alle imprese, di fatto ne sono andati soltanto 11. Magari se almeno fossero serviti per sospendere tutta una serie di pagamenti che continuano invece ad essere dovuti, sarebbe stato un altro segnale.