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Ora il Covid è inglese. È l'ultima crociata contro la Brexit

Andrea Amata
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Ieri su Repubblica campeggiava in prima pagina un titolo a caratteri cubitali: «Il virus inglese è già in Italia». Altri quotidiani in prima pagina hanno utilizzato un'infografica che con un gioco di parole riconduce il virus alla perfida Albione: la scritta "corona virus" fiancheggiata dall'immagine della Regina Elisabetta II, con il capo ornato dal diadema, per creare l'associazione fra il nome generico del virus (corona) e la corona reale, rende l'idea di due realtà compenetrate. Inizialmente ho strabuzzato gli occhi e mi ha assalito il sospetto che il laboratorio di Wuhan fosse una enclave del Commonwealth, sotto le dirette dipendenze del Regno Unito. Invece, no.

È bene ribadire che l'epicentro da cui si è diffuso il malefico virus, che sta sconquassando la sanità e l'economia globale, appartiene territorialmente al regime comunista cinese e conferirgli una paternità britannica è un atto di espropriazione abusiva. Nei mesi precedenti coloro che attribuivano al Covid-19 una "Doc" (denominazione di origine cinese), come ad esempio il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, venivano accusati di retorica aggressiva e di depistaggio. I sacerdoti del politicamente corretto additavano i divulgatori della tesi cinese del virus come rei di aver violato i precetti della loro dottrina, che si ispira al culto della tremebonda prudenza. I giornali di orientamento progressista si sono sempre dimostrati cauti nel dare al virus una identificazione geografica, dissociandosi da quanti, in nome della verità e della lealtà ad un dato cronicistico, hanno evidenziato nella terra del Dragone l'origine pandemica.

Tuttavia, oggi, gli stessi che ieri predicavano cautela nel ritratto paterno del virus, non esitano a qualificare come inglese la versione mutata del Covid, manipolando l'informazione per screditare un paese che sta perfezionando lo scisma politico con l'Unione europea. Per qualche giornalone talare, al servizio della sacra celebrazione eurocratica, la Brexit rappresenta un'esecrazione da sanzionare con la squalifica dell'untore. Perché i vigilanti del politicamente corretto non propongono campagne di solidarietà come quelle adottate per testimoniare amicizia nei confronti della Cina? Perché Zingaretti e i vipponi social non lanciano l'hashtag #abbracciauninglese? I progressisti nostrani cosa aspettano ad organizzare un simbolico tè pomeridiano in segno di fair verso un paese marchiato alla maniera di propagatore epidemico? Forse il mainstream non sopporta che con la Brexit la sterlina si è apprezzata tanto da sfondare il tetto degli 1,35 dollari, contraddicendo le profezie catastrofiche sui presunti effetti deprimenti per l'economia inglese. Oppure, i gruppi editoriali vicini al governo devono agire da cassa di risonanza per la versione europea della variante del virus e, così, preparare il terreno ad ulteriori restrizioni, rendendo pienamente accettabili le recenti misure limitative introdotte. Con la narrazione plasmata dal terrore, come se la sopraffazione del male fosse ineluttabile, rinunciamo ad indicare una prospettiva di speranza senza la quale la collettività rischia di collassare per disfattismo.

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