Mostra fotografica permanente nelle Langhe

Il Barbaresco si racconta nei volti dei suoi vignaioli

Alessio Buzzelli

Trentanove volti e corpi e gesti che raccontano altrettante storie. Storie di vita, di vino e di vigne, ma pure storie sterminate, ataviche e primordiali: quelle della terra, delle ere geologiche e delle secolari radici, dei minerali e delle rocce, delle stratificazioni del Tempo custodite come fossero segreti impossibili da decifrare. E poi le storie della nostra Storia, quella dell’uomo fatta dall’uomo, che nei secoli prende forma e diventa cultura, collettività, tradizione, lavoro, comunità, sapere inestimabile. C’è tutto questo - e forse anche qualcosa in più – negli scatti in bianco e nero del fotografo/giornalista/giramondo Max Rella, esposti all’interno della mostra fotografica “Volti di Barbaresco”, inaugurata il 19 giugno scorso e destinata a diventare parte integrante del luogo in cui è stata allestita.

 

  

 

 

Le foto infatti resteranno esposte, finché resisteranno al tempo, tutt’intorno alla severa Torre Medievale che sovrasta il piccolo paese di Barbaresco, una stele alta 30 metri che svetta fiera sulle incantevoli colline delle Langhe. I volti ritratti sono quelli di chi a quella terra felix (quale è senza dubbio quella delle Langhe) ci ha dedicato la vita, rendendola uno dei luoghi più visitati al mondo; perché sono loro, i produttori di vino del Barbaresco, che più di altri, con il loro lavoro e la loro passione, hanno continuato nel tempo a dare forma a questo territorio custodendone gli antichi saperi e le preziose tradizioni e tracciandone allo stesso tempo le traiettorie future. Quelli di Max Rella sono scatti che evocano, che rimandano, che infine suggeriscono con potenza narrativa le storie che si celano dietro un volto, uno sguardo, una mano che tiene su un calice di vino, una forbice che pota un filare. È la vita che si fa immagine e l’immagine che si fa vita: la vita dei 36 vinai, naturalmente, ma anche, per metonimia, la vita di tutto il Barbaresco, del territorio e della sua lunga storia.

 

 

 

 

Dentro queste istantanee di vita quotidiana ci sono produttori di ogni genere: anziani e giovani, rinomati e meno rinomati, grandi e piccoli, perché tutti qui, al contrario del famoso luogo comune, sono sempre indispensabili, non solo necessari. “Quando nell’agosto del 2020 il vicesindaco di Barbaresco Alberto Bianco – ha raccontato Max Rella - mi ha parlato della sua idea di una mostra fotografica sui produttori del Barbaresco, ho pensato immediatamente che fosse una gran bella cosa. L’idea ha così iniziato a prendere forma: un fermo immagine corale in un’epoca in cui le immagini sono divorate dai cellulari per finire nel tritacarne della Rete”. Un modo, insomma, per rendere giustizia a qualcosa che come il vino attraversa i secoli senza però esserne stravolto, che sa che nel rispetto verso la tradizione risiede il vero segreto della sua longevità e, forse, anche della sua stessa sopravvivenza. Ecco allora il motivo della scelta del bianco e nero, che, come ha ribadito Rella, “ben si sposa al mondo, per molti aspetti tradizionale, del vino e della campagna”. Ma oltre i volti dei produttori, nelle fotografie di Max Rella c’è di più. Ci sono i luoghi, le stagioni, i lavori; c’è il Barbaresco nella sua totalità: le vigne d’autunno e la vendemmia, i filari innevati e quelli che germogliano, le cantine umide, le botti e le bottiglie, le vasche e le anfore. Sullo sfondo dei ritratti di Rella e - in un gioco di rimandi - anche sullo sfondo delle sue foto in esposizione c’è sempre, ineluttabile, questa terra quasi perfetta, le Langhe, fatta di morbide sinuosità che sembrano siano state pettinate da un’enorme mano dolce. Forse da quella di Dio, forse da quella della Storia; o magari da entrambe, nessuno può saperlo. Resta impresso negli occhi di chi guarda (sia esso semplice spettatore della mostra o produttore di vino, che quel territorio lo vede tutti i giorni) un panorama mozzafiato la cui immutabilità è solo apparente, ma che invece cambia di anno in anno, di stagione in stagione e questa volta per mano dell’essere umano. Per mano di chi questa terra l’ha preservata e trasformata con il sudore della fronte di generazioni, ma anche di chi, come Max Rella, l’ha saputa raccontare come meglio non si poteva.