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Altro che Conte, per la sovranità ci vorrebbe la rivoluzione

Il giuramento del nuovo governo al Quirinale (LaPresse)

Carlantonio Solimene
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Ora che il governo ha visto finalmente la luce, difficilmente sentirete di nuovo i protagonisti della maggioranza sostenere che l'Italia è un Paese a sovranità limitata. Eppure è bene che i lettori tengano bene a mente questa massima. Non certo per rinfacciarla a chi parlava di "golpe" e ora è al potere. Ma, semplicemente, perché è vera: l'Italia è seriamente un Paese a sovranità (molto) limitata. A determinare questa condizione non è stata tanto la firma dei trattati europei che hanno ceduto a Bruxelles gran parte del nostro potere decisionale, soprattutto per quanto riguarda l'economia. Ma l'emergere di due fenomeni complementari: la globalizzazione e il capitalismo finanziario. Avete presente la teoria del caos? Quella che, semplificando, spiega come "il battito delle ali di una farfalla in Brasile, può provocare una tromba d'aria nel Texas"? Ebbene, essere immersi in una società basata su globalizzazione e capitalismo finanziario significa sostanzialmente questo: ogni azione politica di un singolo Paese - e in particolar modo di quelli economicamente più importanti - può generare una reazione a catena che coinvolge l'intero sistema. L'abbiamo visto alla perfezione lo scorso martedì, quando l'attacco ai titoli di Stato italiani ha trascinato giù persino Wall Street, la Borsa americana. Il sistema, sostanzialmente, di fronte agli scossoni tende a reagire per autotutelarsi. E i singoli Paesi, che nel sistema vivono e del sistema si nutrono, obbediscono. Questa è la condizione politico-economica in cui oggi vive il mondo intero. Il punto è: siamo davvero costretti a tollerare queste limitazioni di sovranità - che si manifestano con le periodiche impennate di spread - oppure possiamo ribellarci e uscirne? Niente è irreversibile. Ma sarebbe forse il caso di capire bene cosa significherebbe recuperare sovranità. Per l'Italia, sostanzialmente, questo si tradurrebbe nell'uscita dall'euro e nella possibilità di ricominciare a stampare autonomamente moneta per fronteggiare il debito pubblico. Detta così, sembra semplice. Ma ormai tutti hanno letto e capito che le conseguenze, specie nel breve periodo, potrebbero essere devastanti. Perché l'inflazione galopperebbe verso il 20-30% e a pagarne le conseguenze sarebbero le categorie a stipendio fisso, compresi quei pensionati che tutti - a parole - dicono di voler tutelare. Non solo: l'intera economia andrebbe in crisi perché si impennerebbero i prezzi delle materie prime che importiamo dall'estero. E l'Italia, lo ha ricordato bene Federico Fubini sul Corriere della Sera, è un Paese che di materie prime non ne ha, se è vero che importiamo dall'Est persino il gas per riscaldare le nostre case. Non finisce qui, perché tornare alla lira significherebbe perdere molta credibilità nei confronti dei possessori del nostro debito pubblico, che speravano di vedersi ripagare gli interessi in euro e non in una moneta svalutata. Il mercato non fa complotti, non è né buono né cattivo. Semplicemente, punta a fare più soldi possibile. Se l'investimento "Italia" diventerà troppo rischioso, dirotterà le sue mire su obbligazioni più sicure. Questo comporterà l'ennesimo aumento dello spread e costringerà le casse pubbliche a pagare interessi sempre più alti per piazzare i propri titoli di Stato. Fino a che la situazione diventerà incontrollabile e non resterà che il default. Default significa ripartire da zero. E, apparentemente, potrebbe persino sembrare allettante. Il nostro debito pubblico scomparirebbe. Ma se è vero che un terzo dei 2.300 miliardi di "buco" sono in mani estere, di conseguenza i due terzi restanti dei creditori sono italiani. Dalla nostra economia, sostanzialmente, verrebbero sottratti crediti per circa 1.600 miliardi. Una cinquantina di leggi finanziarie. E ancora: uno Stato fallito paga le pensioni? Paga gli stipendi ai dipendenti pubblici? Garantisce la sanità gratuita agli indigenti? Perché, alla fine, il punto è proprio questo: recuperare la sovranità significa uscire dal sistema. E per farlo non basta certo il governo Conte o "Salvimaio". Ci vorrebbe una vera e propria rivoluzione. Ma il dopo-rivoluzione assomiglia tanto a un dopo-guerra. Addio i-Phone, addio vacanze al mare, addio auto (quanto arriverà a costare il petrolio che importiamo dall'estero?), addio a tutto quello a cui siamo abituati. E' questo il prezzo da pagare per trasformarci in una sorta di "Cuba" del Mediterraneo. Un Paese dove si insegue non l'utopia del socialismo, ma quella dell'economia a misura d'uomo. Siamo pronti per affrontare tutto questo? Magari qualcuno lo è. In particolare chi ha poco o nulla: nessuno stipendio, nessuna pensione, nessun investimento in titoli di Stato, ecc. Ma gli altri? E, segnatamente, gli elettori di Lega e Cinquestelle cosa ne pensano? La domanda da porsi, però, è un'altra: c'è un'alternativa a questo sistema che non sia una rivoluzione? Lo si può, in altre parole, cambiare dall'interno? Ebbene, se c'è solo una possibilità, è quella di agire all'interno delle comunità internazionali in cui ancora si possono deviare sensibilmente i destini del mondo. Una di queste è, per l'appunto, l'Unione Europea. L'economia già oggi è  dominata da giganti quali Cina, India, Brasile, Stati Uniti. L'Italia, da sola, può contare poco o nulla. L'Europa, invece, può avere ancora potere decisionale. Chi ne ha preso le redini - la Germania, ad esempio - ha indirizzato la politica comunitaria secondo i propri desiderata e ne ha tratto vantaggio. Sovranità nazionale è un concetto che può risultare fuorviante. Meglio parlare di interesse nazionale da far prevalere a livello continentale. Non uscire dall'Europa, ma forgiare un'Europa a trazione italiana. O, per lo meno, anche italiana. Saranno i nostri governanti capaci di affrontare una mission così impegnativa? Quelli passati, purtroppo, non si sono dimostrati all'altezza. Pur con diverse sfumature, l'Italia ai tavoli comunitari è sembrata finora più come il bambino svogliato da tenere a bada con qualche caramella (flessibilità di bilancio) che il padre di famiglia capace di indicare la rotta. Ora attendiamo i nuovi al varco. Con la speranza che siano consapevoli di quanto l'ipotetica scappatoia, il piano B dell'uscita dall'euro, assomigli a una drammatica traversata nel deserto.

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