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Così Renzi vuole tornare a Palazzo Chigi

Graziano Delrio e Matteo Renzi (LaPresse)

Carlantonio Solimene
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Alla vigilia dell'ennesima giornata "calda" del Partito Democratico - c'è l'assemblea dei gruppi parlamentari e poi l'elezione del presidente della commissione speciale per il Def - tutti continuano a chiedersi cosa abbia in mente Matteo Renzi in vista dell'assemblea di partito del 21 aprile. Questo perché, al di là di alcune defezioni che vanno aumentando, con renziani un tempo fedelissimi che oggi aprono ai Cinquestelle, l'ex premier continua comunque a controllare un numero di delegati consistente a tal punto da poter se non determinare almeno condizionare l'esito dell'assise. Diciamo un 50% o poco meno. Ebbene, i parlamentari più vicini a Matteo raccontano che lui non ha ancora deciso quale atteggiamento tenere, se sostenere o meno la candidatura a segretario di Maurizio Martina oppure pretendere un congresso "vero" in pochi mesi. Ma si tratta di frenate che sanno più di tatticismo. Perché, invece, chi si sbottona di più, magari perché non condivide la tattica, le intenzioni di Renzi le racconta per filo e per segno, e sarebbero le seguenti: l'ex premier sarebbe disponibile a sostenere un'elezione di Martina alla segreteria in assemblea solo se quest'ultimo gli garantisse la linea d'opposizione perenne ai Cinquestelle e il congresso in tempi brevi, comunque entro il 2018. Ovviamente al congresso Renzi non correrebbe in prima persona, ma schiererebbe un suo uomo fidato. Negli ultimi giorni è "sceso in campo" Matteo Richetti, facendo intendere di aver concordato con l'ex premier la mossa. Ma la verità è che dell'ex consigliere regionale emiliano Renzi non si fida del tutto. E piuttosto vedrebbe nel ruolo di segretario Graziano Delrio. Non finisce qui, perché la quadratura del cerchio si otterrebbe con il voto anticipato nel 2019, in coincidenza con le Europee. L'ex premier sarebbe convinto che, senza il contributo del Pd, Lega e Cinquestelle riescano al massimo a formare un "governicchio" capace di modificare la legge elettorale e poco altro, in modo da riportare il paese alle urne, presumibilmente da un anno. A quel punto, con un segretario "amico" a fargli le liste elettorali a immagine e somiglianza, Renzi chiederebbe una deroga allo statuto per ottenere le primarie per il candidato premier. Normalmente il ruolo spetterebbe di diritto al segretario, ma già Bersani accettò di mettere la scelta nelle mani del "popolo del Pd". Renzi, ovviamente, vi parteciperebbe, è convinto di vincerle, così come è convinto di poter vincere le elezioni dopo che per un anno M5S e Lega non saranno stati in grado di combinare granché. E' fantapolitica? No, come ogni scenario è solo un "piano di battaglia" che potrebbe avere dei vantaggi ma che, al tempo stesso, non tiene conto degli imprevisti. Dal punto di vista dei "pro", avere un congresso in tempi brevi, oltre a tenere le mani legate a Martina nel dialogo con i Cinquestelle in quanto segretario "temporaneo", potrebbe tagliare fuori dalla corsa uno degli avversari più temuti dai renziani, quel Nicola Zingaretti rieletto da troppo poco tempo alla guida della Regione Lazio per "mollare" la poltrona e dedicarsi al partito nazionale. Molti di più, però, sono i possibili intoppi. A partire dalla questione dei numeri. Quanti parlamentari e quanti delegati dell'assemblea Renzi controlla realmente? Che le truppe degli "aperturisti" al MoVimento 5 Stelle si stiano allargando sempre di più lo ha ammesso serenamente un parlamentare sempre schietto come Roberto Giachetti. E tra i renziani sono in tanti a dire che sarebbero pronti a gettarsi nel fuoco per Matteo, ma magari non lo farebbero per una imitazione di Renzi, ad esempio Delrio o Ettore Rosato. Più passano i giorni, insomma, più la truppa del Giglio Magico perde petali. Oggi sarà interessante fare il resoconto della discussione nei gruppi parlamentari del Pd, dove dovrebbe prendere la parola Dario Franceschini, uno di quelli che, un tempo nella maggioranza renziana, ora vorrebbe aprire un tavolo di trattativa con Di Maio. Non solo, nel pomeriggio andrà in scena la votazione per il presidente della commissione speciale della Camera per il Def. Di prassi questa poltrona spetterebbe al presidente uscente della commissione Bilancio. Che è un Dem e, guarda caso, uno dei più favorevoli al dialogo coi Cinquestelle: Francesco Boccia. Quel ruolo, però, è reclamato anche dal leghista Giancarlo Giorgetti. Ebbene, se i Cinquestelle dovessero favorire l'elezione dell'uomo di Salvini, allora vorrebbe dire che tutte le scaramucce di questi giorni sono solo una finzione e l'intesa tra il Matteo leghista e Luigi Di Maio è più forte di quanto si pensi. Bisogna solo aspettare che Salvini abbia il "coraggio" di confessarlo a Berlusconi. Se invece fosse eletto Boccia, beh, vorrebbe dire che il canale di dialogo coi Dem è aperto e che la linea della "minoranza" (lo è ancora?) ne uscirebbe rafforzata. Tornando a Renzi, va detto che se anche le cose andassero come lui spera - congresso subito, segretario amico, voto anticipato e primarie per la premiership - l'ultima parte del piano, la vittoria delle elezioni, non tiene conto di un feeling col Paese completamente scomparso. Matteo, insomma, non sembra aver ascoltato i consigli di chi gli suggeriva di farsi dimenticare per un po' per poi tornare rigenerato. Né sembra essersi interrogato sulle ragioni della sconfitta elettorale. Insomma, una cosa è il piano, un'altra la sua eventuale riuscita. Sulla quale, personalmente, nutro serissimi dubbi.

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