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Mille motivi per gufare la Francia

Domani a Mosca si gioca la finale del Mondiale contro la Croazia Storia, identità, politica: ecco perché gli italiani stanno con gli slavi

Alessandro Meluzzi
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Non è necessario essere dei grandi sondaggisti per avere la percezione, persino fisica, che nella finale tra Francia e Croazia la stragrande maggioranza degli Italiani tiferà per quest'ultima squadra, cioè per una picco- la squadra di un piccolo paese di 4 milioni di abitanti dell'ex Jugoslavia, con la quale l'affinità geografica consiste nel fatto che le sue città costiere hanno un sapore dalmata e veneziano, affacciandosi sull'Adriatico, sul cui fronte opposto si trova la riviera adriatica italiana. Ma la naturale simpatia per la Croazia, forse, non è così squisitamente geopolitica, anzi recenti ricordi bellici potrebbero persino scavare qualche barriera. La ragione probabilmente risiede nella naturale antipatia di cui la Francia di Macron gode in questo momento. Un'antipatia che, forse, ha radici di media distanza come quella dell'azione di Sarkozy per i suoi sogghigni di fronte a Berlusconi e, soprattutto, quell'azione militare contro la Libia per privilegiare i pozzi della Total rispetto a quelli dell'Eni nell'ex colonia italiana. Anche le vicende dell'uccisione di Gheddafi, che certamente non era uno stinco di santo ma che fu sicuramente un finanziatore di Sarkozy, devono avere a che fare con valutazioni di tipo politico o para-politico. C'è, poi, la questione recente delle aggressioni verbali di Macron al nuovo governo italiano ed effettivamente l'atteggiamento di strafottenza e di onnipotenza di questo piccolo Napoleone bonsai, che ha cercato recentemente di auto-incoronarsi a Versailles, ha sede nel gruppo Rothschild di cui era funzionario. Così la non grandissima simpatia che aleggia intorno a tutta la sua figura. D'altra parte l'anti-francesismo ha radici antiche in Italia fino alla fase immediatamente successiva all'Unità nella quale, dopo l'occupazione di Roma, i Francesi divennero i principali avversari di un'Italia costretta a stipulare la Triplice Alleanza fino alla Prima Guerra Mondiale, alleata alla Germania e all'Impero austo-ungarico. Ma le questioni sono, forse, meno auliche di così e hanno più a che vedere con una per- cezione persino fisica di questa squadra. Una squadra composta interamente da Croati con cognomi croati, facce croate, corpi croati che abbiamo visto brillare anche nei campionati italiani. Dall'altra parte c'è una squadra cui si rimprovera il fatto che di Francesi con marchio doc non ce n'è manco uno. Si tratta di Africani, per lo più provenienti da paesi del Sahel ma anche qualcuno di etnia caucasica, certamente non francese. D'altra parte la Francia è l'alfiere del globalismo, del migrazionismo e del cosmopolitismo, contrapposti ad una linea politica che in questo mo- mento in Italia pare prevalentemente sovranista e anti-migrazionista. Se rintracciamo con qualche finezza in più elementi che fanno parte della nostra storia, non può non sovvenire un ricordo che qualcuno avrà nel cuore dalle elementari. Ed è la poesia di Giuseppe Giusti dedicata a Sant'Ambrogio. Trattasi di una poesia della lettera- tura italiana del Risorgimento che racconta di chi, nel momento della nascita dello Sta- to nazionale, immaginando di rivolgersi ad un alto funzionario della polizia gran ducale pistoiese o austroungarico, inizia con un verso che riecheggia nella memoria scolastica: «Vostra Eccellenza che mi sta in cagnesco per que' poschi scherzucci di dozzina, e mi gabella per anti-tedesco perché metto le birbe alla berlina...». In questa storia, d'un tratto, non può passare indifferente che di fronte all'altare di Sant'Ambrogio lo stesso Giusti ricorda: «Entro, e ti trovo un pieno di soldati, di que' soldati settentrionali, come sarebbe Boemi e Croati, messi qui nella vigna a far da pali. Difatto se ne stavano impalati, come sogliono in faccia a' Generali. Co' baffi di capecchio e con que' musi, davanti a Dio diritti come fusi». Insomma, quei Croati, messi a presidio dell'Impero asburgico, considerato oppressore con le sue aquile imperiali dal Risorgimento italiano, sono inarrestabili. Durante la cerimonia i Croati si mettono a cantare e il Giusti continua: «Per l'aer sacro a Dio mosse le penne: era preghiera, e mi parea lamento, d'un suono grave, flebile, solenn, tal che sempre nell'anima lo sento: e mi stupisco che in quelle cotenne, in que' fantocci esotici di legno, potesse l'armonia fino a quel segno». Poi, d'improvviso, quelli che sembravano soltanto degli oppressori diventano soldati ordinati e comandati a reprimere il Risorgimento italiano, ma con un forte sentimento di nazione. Si tratta di un riflesso antico, arcaico, probabilmente naturale. Tra nazioni, quella italiana o croata, ma di qualsiasi altro origine, può esserci contrapposizione, guerra ma anche dialogo, oppressione e liberazione. Ma c'è comunque una dimensione di un'identità, di un'origine, di una me- moria. Dove non c'è memoria, c'è soltanto melting pot, dove vige la cultura dell'indistinto, del magmatico, di una melassa che non riesce a trovare i propri contorni. Meglio odio e perdono che nulla e decomposizione. Non è, quindi, un problema di razzismo, anzi semmai di identità o di disidentità. Credo che gli Italiani tifino Croazia non solo perché Macron è antipatico, non solo perché la finale è tra un grande impero euro-africano e una piccola nazione balcanico-adriatica, non solo perché i calciatori croati assomigliano a quelli italiani dei vecchi campionati '60-'70 stile Rivera o Mazzola rispetto ai loro contrapposti di origine multietnica, ma anche perché c'è qualcosa di antico che mette in relazione i popoli tra loro, che alterne vicende possono contrappore, pur rimanendo ognuno della propria identità. Quando si perde l'identità, la nazione e la storia, si perde anche la possibilità di conoscersi, di dialogare, di conoscersi. Ciò che, invece, si vuole imporre nel nome del politicamente corretto, purché coloured, è semplicemente il nulla.  

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