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Omicidio Vannini, condanne ridotte all'intera famiglia della fidanzata. E il web esplode

Il giovane bagnino ucciso da un colpo di pistola il 18 maggio del 2015

Angela Di Pietro
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Faccette tristi, commenti mesti. A migliaia. E rabbia, rabbia, rabbia. Da nord a sud. L'Italia intera s'è trovata unita nel contestare, soprattutto attraverso il web, la sentenza attraverso la quale la famiglia Ciontoli di Ladispoli è stata condannata in Primo Grado per la morte del giovane bagnino Marco Vannini, avvenuta il 18 maggio 2015. Sentenza di caratura inferiore a quella auspicata dalla famiglia della vittima, due poveri genitori che avevano cresciuto il loro unico figlio riservandogli amore e sani princìpi. Marco Vannini era stato colpito da uno sparo partito dalla pistola del capofamiglia, il sottufficiale della Marina Antonio Ciontoli, padre della fidanzata Martina, nell'abitazione in cui viveva l'intero clan: il militare, la moglie Maria Pezzillo, i figli Federico e Martina, appunto. I soccorsi erano stati chiesti con un'ora e mezzo di ritardo: prima era stato detto che Marco era inciampato, poi che aveva avuto un attacco di panico, infine che si era ferito con un pettine. Intanto lui gridava disperato. Il proiettile gli aveva attraversato il torace. Solo una volta arrivato al Pronto Soccorso, Ciontoli senior comunicava che il giovane fidanzato della figlia era stato ferito (a morte) per sbaglio da un colpo di pistola. Troppo tardi, Marco Vannini moriva senza che la madre avesse potuto correre per tempo in suo soccorso. La dinamica dei fatti non è mai stata chiarita. A fronte delle richieste del pubblico ministero, che aveva proposto per tutti la condanna con l'ipotesi di reato di omicidio volontario (e per la fidanzata di Federico Ciontoli due anni per omissione di soccorso), la sentenza ha smorzato di fatto i toni di questa morte inaccettabile. Antonio Ciontoli è stato condannato a 14 anni per omicidio volontario: moglie e figli a tre per omicidio colposo, assolta (assolta) la fidanzata del giovane Federico. Tutti personaggi presenti nella villetta di Ladispoli la sera dell'omicidio. E mentre Marina Conte, la madre di Marco Vannini, urlava il suo dolore, due braccia asciugate dalla stanchezza, annunciando di voler riconsegnare la tessera elettorale “perché non si sente una cittadina italiana” e denunciando il fatto che, a suo dire, la “Giustizia sta dalla parte di chi uccide”, una vera e propria sollevazione popolare rendeva incandescente l'intero pomeriggio. Siti ufficiali, pagine di cronaca nera, gruppi privati di centinaia di italiani che hanno seguito la vicenda non risparmiavano critiche ai giudici che hanno sentenziato. Le sentenze medesime non vanno giudicate, ma il diritto di critica non puo' essere negato ai liberi cittadini. Anche le televisioni pubbliche e private hanno riservato grande spazio alla sentenza, attesa da mesi. Solo la pagina Facebook di “Quarto Grado” (e va sottolineato il "solo" perché decine di altri siti hanno avuto analoghi risultati), in tre ore aveva accumulato oltre tremila commenti. Le parole più usate: “vergogna”, “fanno bene le persone che si fanno giustizia da sé”, “l'Italia è in mano agli assassini”. Sullo sfondo la faccia bella e pulita di Marco e quelle grida strozzate della madre: “Quelli stanno a spasso e Marco è chiuso in un fornetto da tre anni”. L'Italia intera non ha gradito ed avrebbe voluto, valutando il tenore delle affermazioni, che Marco Vannini, l'unico figlio amato di una coppia oggi devastata, che la giustizia mostrasse piu' severità.

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