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Il balcone del Duce rischia di cadere giù. Polo Museale: problemi statici

Francesca Pizzolante
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Non aprite quel balcone. La finestra più famosa del Ventennio resta ancora un tabù che nessuno vuol sfatare. Sono trascorsi settantaquattro anni dalla caduta del fascismo e nonostante ciò il poggiolo dal quale Benito Mussolini il 10 giugno 1940 dichiarò guerra a Francia e Inghilterra, dopo avervi arringato gli italiani («italiani!») per un decennio e mezzo, resta sbarrato. Mentre le ampie stanze di Palazzo Venezia sono state restaurate e riaperte al pubblico - persino la sala del Mappamondo, dove convivono affreschi di Andrea Mantegna con le iscrizioni mussoliniane, è diventata location di mostre di levatura internazionale -, il piccolo ballatoio è destinato al sigillo, con la speranza dell'oblio. Non lo si vuol rendere un luogo della memoria, o per alcuni della nostalgia, e per evitare spine nel fianco meglio fare come se non esistesse. Nella sala infatti, all'altezza del balcone, un pesante tendone di velluto copre la finestra chiusa con un lucchetto per una damnatio memoriae nata fra i gestori del palazzo, dalla notte del Gran Consiglio in poi. SE VUOI CONTINUARE A LEGGERE CLICCA QUI

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