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Voragini spia della fragilità di Roma

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La voragine di via Anastasio II

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E due. Dopo la voragine di via Anastasio II che ha interrotto parte dell'Olimpica un altro cedimento del manto stradale si è verificato a stretto giro stavolta in centro storico. In via San Salvatore in Campo. A farne le spese una spazzatrice dell'Ama che si è sentita "mancare la terra sotto le ruote". Sarà colpa di lavori stradali malfatti, delle precipitazioni intense che hanno regalato l'inverno più piovoso degli ultimi anni, ma Roma sembra sbriciolarsi. Basti ricordare, ad esempio, la recente frana di un costone della collinetta dei Parioli. La storia geologica della città è piuttosto semplice e aiuta a capire cosa c'è sotto di noi. «È come un libro - dice Gian Paolo Cavinato dell'Istituto di geologica ambientale e geoingegneria del Cnr di Roma - dove ogni pagina è una storia geologica. Lo strato più basso sono le argille marine depositate dal mare circa 3,5 milioni di anni fa. Affiorano ad esempio a Monte Mario e in tutta la zona est. Sopra c'è un'altra pagina di sabbie e ghiaie lasciate dal mare quando si è ritirato, e ancora un'altro strato di rocce vulcaniche create dalle eruzioni dei vulcani Colli Albani a sud e del Sabatino a nord-ovest (il lago di Bracciano)». Racconta l'esperto che le colate hanno come «piallato» tutta la superficie e 300-400 mila anni fa è cominciata l'erosione delle colline, lasciando i sette colli, così come li conosciamo. All'opera della natura si è poi sovrapposta quella umana di Roma: città eterna da tremila anni e dunque «edificata soprattutto in centro storico con materiali cavati dai blocchi tufacei che affioravano e che una volta estratti lasciavano delle cavità», spiega l'esperto. Cavità che non si vedono a occhio nudo perché c'è la città edificata con palazzi e strade. «Queste si indeboliscono perché svuotate dei materiali e fessurate dall'acqua possono crollare causando le voragini», precisa Cavinato. Il "crollo" viene poi facilitato dalle vibrazioni del traffico veicolare. «Quando risistemano le strade - suggerisce lo scienziato del Cnr - dovrebbero intervenire nello strato più profondo. Mi rendo conto che si tratterebbe di lavori complessi e costosi, ma solo lavorando in profondità e consolidando il sottosuolo si possono contenere i potenziali problemi». Questo modo di procedere si chiama prevenzione dei rischi. La stessa "mission" sulla quale Cavinato e l'istituto di geologia Ambientale e geoingegneria del Cnr stanno lavorando con la Protezione Civile per Urbisit, un progetto di conoscenza e prevenzione delle pericolosità geologiche di Roma. La conoscenza è dunque prioritaria ma non occorre essere esperti per immaginare cosa può esserci sotto di noi. Basta osservare il dislivello di decine di metri tra la città attuale e quella antica dei monumenti. «La differenza è costituita da materiali di riporto come mattoni e altri inerti che in qualche caso, possono non compattarsi bene anche a causa dell'infiltrazioni dell'acqua» e contribuire in negativo alla nostra fragilità urbana.

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