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Il grande bluff di Rolling Stone. E Selvaggia Lucarelli fa a pezzi la rivista

Da Mentana a Robecchi, tutti smentiscono di aver aderito alla campagna contro il ministro Salvini

Giada Oricchio
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Rolling Stone rotola e finisce gambe all'aria per colpa della sua stessa idea. In mattinata apre con una copertina in difesa degli emarginati e in serata ha rimediato una figuraccia nazionale. Enrico Mentana, in un post su Facebook, smentisce di aver aderito alla campagna e li accusa di scorrettezza, poi si dissociano anche lo scrittore Alessandro Robecchi, il fumettista Gianni Gipi Pacinotti e la scrittrice Valentina Petrini. Ma il colpo di grazia lo dà Selvaggia Lucarelli, ex direttore di Rollingstone.it, che tira fuori gli scheletri di  Rolling Stone e del suo editore denunciando la doppia morale del giornale. Facile difendere gli ultimi per propaganda, difficile quando la notizia non fa rumore, ma è semplicemente la cosa giusta da fare. Ricostruiamo la vicenda: la rivista ha lanciato la campagna “Noi non stiamo con Salvini” e all'interno del numero in edicola si legge: “Fa male vedere, giorno dopo giorno, un'Italia sempre più cattiva, lacerata, incapace di sperare e di avere fiducia negli altri e nel futuro. Un'Italia rabbiosa e infelice. Fa ancora più male prendere atto che questa rabbia si è fatta potere. (…) Per questo non possiamo tacere. (…) Rolling Stone si oppone (…). Crediamo che oggi in Italia sia fondamentale prendere una posizione chiara, crediamo che volgere lo sguardo dall'altra parte e aspettare che passi la bufera equivalga a essere complici (…). Perciò abbiamo coinvolto artisti e protagonisti della vita culturale italiana, che tante volte in questi anni abbiamo incrociato e raccontato" e l'hashtag #chitaceècomplice. Un'iniziativa bella come l'arcobaleno della cover e altrettanto effimera. Buona per una bella pubblicità sulla pelle dei deboli. A supporto dell'idea, la rivista ha pubblicato una lista di nomi che avrebbero aderito all'iniziativa. Avrebbero, appunto. Perché il direttore del Tg La7 Mentana su Facebook ha specificato di non aver voluto aderire alla campagna. Il direttore di Rolling Stone, Massimo Coppola, ha risposto facendo il rattoppo più grande del buso: “Caro Enrico, non essendo un appello non ci sono firmatari. Abbiamo deciso di includere i post pubblici sul tema dopo che molti ci hanno detto “ci sto, ma ho già detto quel che penso, non potete pubblicare il mio post? (e già questo basterebbe a indicare la serietà dell'iniziativa, nda)”. Ma Mentana insiste e definisce l'operazione mediocre: “Non puoi decentemente sostenere che siccome altri ti hanno detto che ne avevano già scritto e non avevano modo di ripetere o cambiare, allora questo ti permetteva di prendere oltre ai loro anche brani di altri che erano ignari della tua iniziativa o peggio, come nel mio caso, si erano dichiarati esplicitamente indisponibili, per di più usandone il nome come elemento di richiamo pubblicitario”. Rolling Stone ha poi specificato: “Il nostro non è un appello, non ci sono firmatari. Solo pensieri” però sono piovute smentite. Pacinotti si è dissociato con un lungo post su FB, Robecchi si chiede “come ci sono finito dentro… sono contro Salvini ma anche contro i furbetti che si fanno pubblicità con il mio nome”, Petrini in un Tweet: “Le mie opinioni su immigrazione e lavoro sono note. Il punto è che non sono mai stata contattata dai colleghi di Rolling Stone…”.   Insomma, se vai in battaglia almeno assicurati che i legionari siano stati precettati altrimenti colpisci il nemico con pistole ad acqua. Anzi peggio, rischi di beccarti un boomerang dritto, dritto negli occhi. Come quello che ha tirato Selvaggia Lucarelli, direttore del sito di Rolling Stone Italia per tre mesi. Fino al giorno in cui ha rassegnato le dimissioni. La scrittrice aveva svelato il minimo stretto indispensabile sulla rottura lampo, ma quelli di Rolling Stone le hanno servito su un piatto d'argento l'occasione per aprire l'armadio, non trovarci dentro Cecilia Rodriguez, ma tanti scheletri, tanto malcostume italiano sul posto di lavoro, tante scorrettezze e tante umiliazioni verso i dipendenti trattati come carne da macelleria sociale. In un post su Facebook, la firma de “Il Fatto Quotidiano”, ha scritto: “Volevo trattenermi dal commentare ma chi tace è complice, quindi non taccio. (…). Sono stata tre mesi a Rolling Stone e francamente un appello per una società aperta, libera e moderna me lo sarei aspettato più da Erdogan che dal mondo Rolling Stone Italia. Amici di Rolling, se fate una copertina di sinistra, parlando di libertà, accertatevi di praticare tutto ciò che vi rende così diversi da Salvini. Nei tre mesi in cui ho provato a lavorare con voi, mi è stato impedito di realizzare un servizio su ticket one e la truffa del secondary ticketing per ragioni di convenienza, mi è stato proibito di far esprimere libere opinioni a giornalisti per ragioni di denaro o convenienza. E' venuto l'Inpgi per controllare le posizioni lavorative dei giornalisti e diverse persone sono state fatte scappare giù in strada (…). L'editore urla e umilia continuamente i suoi dipendenti (…). Ergo, DA VOI la copertina di sinistra proprio no…”. E ancora in un tweet: “Quello che intendevo dire è che se vuoi fare la copertina in difesa dei deboli parti dai diritti del ragazzino e della mamma vicini di scrivania. Facile lo spot col ministro antipatico”. In poche parole: chi è senza peccato scagli la prima pietra. In caso contrario torna indietro una sassaiola.

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