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Salvini apre al Pd ma i Dem dicono no

Matteo Salvini

Silvia Sfregola
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Nuovo governo o voto. Questa la strada stretta davanti al centrodestra. E se l'analisi converge, l'esito invece allontana Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Il primo, pronto a fare di tutto pur di non tornare alle urne. Il secondo, sicuro di trovare i numeri, ma mettendo in conto anche una rapida accelerazione verso nuove elezioni. Eppure, il giorno dopo l'appello di Sergio Mattarella a mettere al centro l'interesse del paese, il leader della Lega un passo in avanti lo fa. Perché il no diventa un ni, e la sponda con i democratici (ieri invocata velatamente dal Cav) oggi non è esclusa nemmeno ai piani alti di via Bellerio. «Nel Pd spero siano a disposizione per dare una via d'uscita al paese, a prescindere da chi uscirà dalle primarie», dice Salvini. Non rinuncia 'Il Capitanò alle aspirazioni a diventare premier; non mette nemmeno in dubbio la trazione "centrodestra" dell'esecutivo che verrà, dicendo un no chiaro ai «pastrocchi». Ma sul piatto mette una nuova disponibilità al dialogo con il Pd. O perlomeno a chi nel Pd vuole «dare una via d'uscita al paese». Ma in attesa di vedere come evolve la situazione al Nazareno i dem dicono no al segretario leghista: «Il nostro senso di responsabilità è stare all'opposizione. Il senso di responsabilità di chi ha vinto è quello di avanzare una proposta di governo» risponde Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera. «La Lega non si nasconda dietro a pretesti e costruisca le condizioni per un governo con chi ha i suoi stessi programmi e toni» conclude. In casa azzurra le parole di Salvini vengono lette in maniera positiva. Ma resta un certo scetticismo. Nessuno si nasconde le insidie di questo passaggio. E sottotraccia resta il sospetto che alla fine la Lega voglia sfruttare l'onda lunga e "mangiarsi" Forza Italia. Ma se è un bluff, ad Arcore saranno costretti ad "andare a vederlo". Perché il pallino è in mano a Salvini e Berlusconi non vuole (e non può) rimangiarsi il patto preelettorale. Se la parola d'ordine diventa "stabilità", Forza Italia e Lega continueranno a camminare di pari passo. L'importante, per Berlusconi, è tenere fuori da ogni accordo il M5S. «Meglio le larghe intese che Di Maio a Palazzo Chigi o un ritorno alle urne», sintetizzano al quartier generale forzista. I due alleati si marcano stretto. Anche per questo, riferiscono, resterebbe ancora in piedi l'idea di presentare una delegazione unica al Quirinale per le consultazioni. Del resto, salire al Colle insieme darebbe un segnale forte sulle comuni intenzioni del centrodestra e a quel punto il Quirinale non potrebbe sottovalutare questo dato, in vista della decisione di dare un incarico di governo.

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