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La resa di Renzi, Orfini: "Si è dimesso". Anche Orlando dice no ai Cinque Stelle

Matteo Renzi

La decisione inevitabile dopo la "sconfitta netta" subita alle urne

Silvia Sfregola
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La lettera, "formale", di dimissioni è stata firmata e consegnata da Matteo Renzi a chi di dovere già lunedì, dopo l'analisi fatta di fronte a telecamere e giornalisti della "sconfitta netta" subita alle urne. "Continuare a discutere di un fatto ormai avvenuto - mette nero su bianco Matteo Orfini - come non vi fosse stato non ha molto senso". La frecciatina è rivolta alle diverse anime della minoranza Pd, dopo la levata di scudi arrivata, tra gli altri, da Luigi Zanda, Michele Emiliano e Andrea Orlando. I parlamentari vicini al ministro della Giustizia, in particolare, si sono riuniti oggi alla Camera in vista della direzione di lunedì e sono tornati a chiedere "dimissioni vere ed effettive" da parte del segretario e una direzione che sia "un vero punto di svolta", a partire dall'esame di quella che viene definita una "sconfitta storica". Adesso serve "una gestione collegiale, unitaria", è il refrain, per affrontare la fase post voto, l'elezione dei presidenti delle Camere e l'eventuale formazione del nuovo governo. Il vicesegretario Maurizio Martina 'reggente', è la via d'uscita fornita anche da Zanda, magari "circondato da una squadra plurale". Adesso il percorso è segnato, tagliano corto i renziani. Non esistono - il copyright è sempre del presidente Pd - "margini interpretativi né soluzioni creative". Secondo lo statuto dem, infatti, dal passo indietro del segretario il presidente ha 30 giorni di tempo per convocare l'assemblea nazionale. il Parlamentino dem ha quindi di fronte a sé due possibili alternative: o eleggere un nuovo segretario (che rimarrebbe in carica fino al 2021, scadenza naturale della consiliatura) o convocare il congresso, con la conseguente decadenza di tutti gli organi del partito (ad esclusione del presidente e del tesoriere). Nessun 'reggente', quindi. Ma il vicesegretario che, sempre da statuto, rimanendo in carica prende pieni poteri dalle dimissioni del segretario all'assemblea. Quando convocare l'assemblea, sarà uno dei temi di cui dovrà discutere la direzione in programma per lunedì alle 15. Da lunedì scorso ci sono appunto trenta giorni. Il trentesimo scoccherebbe il prossimo 4 aprile, in pieno periodo di consultazioni al Quirinale per la formazione del nuovo governo. Anche la scelta della data, quindi, è una questione delicata. Sempre più difficile, qualora sia mai stata concreta, l'ipotesi di aprire a un sostegno al M5S. Andrea Orlando la qualifica come "mossa brillante dal punto di vista comunicativo" (ripercorrendo un po' la definizione - "operazione di marketing per sviare da rimborsopoli" - data da Renzi alla lista dei ministri M5S) per "spostare il dibattito interno" sulle alleanze "oscurare" così il tema del risultato elettorale. Che in ogni caso sgombera il tavolo: "La maggioranza, tutta, esclude questa ipotesi. Quindi quasi il 70% del Pd. L'area politica che mi ha sostenuto al congresso ha escluso la possibilità di un governo con i 5 stelle, così come con il Centrodestra, quindi si aggiunge un ulteriore 20% del Pd. In modo chiaro per questa prospettiva si è pronunciato Michele Emiliano che ha ottenuto al congresso il 10%. Il conto è presto fatto - sentenzia - Il 90% del gruppo dirigente del Pd è contrario ad un'alleanza con il M5S". L'area vicina al Guardasigilli chiede piuttosto voce in capitolo sulle prossime scelte, dalla scelta dei capigruppo a quella dei presidenti delle Camere, per poi ottenere una "rappresentanza" anche nella delegazione che andrà al Quirinale per la consultazioni. Le decisioni verranno prese lunedì in direzione. Renzi non ha ancora sciolto la riserva sulla sua presenza, sebbene siano in tanti a chiedere la sua presenza per "non mostrare menefreghismo e strafottenza". Matteo Richetti minimizza: "Se non ci sarà sarà la dimostrazione che il passo indietro è anche fisico". I renziani, tuttavia, predicano ottimismo: alla fine la linea sarà quella data dal segretario. "Non vedo che rottura ci debba essere, siamo praticamente tutti d'accordo nell'andare all'opposizione - ragiona un fedelissimo di Renzi - Tutti ci aspettano? Non è che anche quando perdiamo possiamo essere noi a guidare la politica". Andare a nuove elezioni, insomma, rimane un'opzione possibile. "Certo - viene spiegato - se Mattarella poi suona l'allarme mercati e tenta un governo del presidente.. solo che è un'esperienza che già abbiamo fatto, non possiamo sempre essere noi a farci carico di sta roba".

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