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È morto Giorgio Almirante i funerali a Piazza Navona

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Colui che ha dato vita alla «politica-spettacolo» Oppositore inossidabile fuori e dentro il Msi

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La morte simultanea di Giorgio Almirante e di Dino Grandi rende quasi obbligatoria una riflessione sulle due anime del fascismo di cui essi erano rimasti gli ultimi epigoni. Intendo quelle due anime profondamente diverse che Mussolini, grazie al suo carisma, riuscì a mantenere unite per circa un ventennio. Dino Grandi, il «conte di Mordano» come lo chiamava sprezantemente l'ultimo Mussolini, era indubbiamente il capofila di quell'ala fascista, ammansita dall'esperienza ma anche dai privilegi concessi dal regime, che non esitò un istante, al momento opportuno (ossia il 25 luglio 1943 quando la barca fascista stava affondando) a pensare soprattutto alla propria sopravvivenza. Ed infatti ancora oggi resta difficile escludere che le lusinghe reali e l'illusione da dare vita a un fascismo con un volto diverso e con un diverso duce, siano state la molla, non secondaria, che indusse Grandi al «tradimento». Giorgio Almirante era di tutt'altra pasta. Apparteneva a quella sparuta schiera di intellettuali che al «si salvi chi può» del 25 luglio scelsero la strada più difficile e più rischiosa. Seguirono infatti il loro duce malconcio nella sua ultima avventura, inseguendo con lui il sogno di riagganciarsi a quel socialismo che Mussolini aveva tradito nel '14. Sugli uni e sugli altri la storia ha già pronunciato il suo giudizio. Resta da dire che, quando le profonde ferite che gli uni e gli altri hanno inferto al Paese, si saranno effettivamente rimarginate, forse si proverà più rispetto per questi che per quelli. Resta il giudizio sugli uomini. Su Dino Grandi, ministro, ambasciatore e direttore d'orchestra nella famosa seduta del Gran Consiglio del luglio 1943 storici di diversa scuola ed estrazione hanno già espresso il loro parere. Di Giorgio Almirante, leader della opposizione di destra, sono noti il coraggio di tribuno sulle piazze, la capacità oratoria, così come l'onestà personale. E questo è giusto riconoscergli, nel dissenso forte dalle opinioni, mentre i suoi fedeli lo piangono. Roma - Giorgio Almirante, per quaranta anni leader del Msi e della destra italiana, è morto ieri mattina alle 10,30 nella clinica Villa del Rosario, dove era stato ricoverato nei giorni scorsi per una grave forma di ischemia cerebrale. Al suo capezzale la moglie Assunta e i cinque figli, con il segretario del Msi, Gianfranco Fini. Almirante avrbbe compiuto 74 anni il 29 giugno prossimo. Subito dopo aver appreso la notizia, il Presidente della Repubblica, Cossiga, si è recato a Villa del Rosario per rendere omaggio alla salma, intrattenendosi poi per circa venti minuti con i familiari. Subito dopo è giunto il sindaco di Roma, Signorello. Messaggi di cordoglio sono stati inviati da De Mita, Iotti, Spadolini, Natta, La Malfa, Andreotti e molti altri esponenti politici, che hanno ricordato la lunga battaglia e l'impegno di Almirante nel Parlamento e nelle istituzioni. I funerali del leader missino si svolgeranno, congiuntamente con quelli dell'ex presidente del partito, Pino Romualdi, deceduto l'altro ieri, alle 15,30 di domani, martedì, nella chie sa di A. Agnese, in piazza Navona. Saranno presenti delegazioni di tutti i partiti della destra europea.     DAL PRIMO COMIZIO IMPARATO A MEMORIA Una vita vissuta tra i fischi e gli applausi. La prima volta lo incontrai nel suo ufficio al Secolo d'Italia. Allora la redazione del Secolo era in via Tomacelli, al primo piano di un palazzo dalla irriconoscibile facciata littoria. Lui pigiava sui tasti della Lettera 22. Scriveva, manco a dirlo, un tagliente articolo di fondo. Sulla scrivania, accanto a una lampada liberty, di sapore vagamente dannunziano era posato un pacchetto confezionato con carta di rosticceria, bianca e unta. Era la sua cena. Una mozzarella, tre supplì, una mela. Finse sorpresa, vedendomi entrare. Alzò gli occhi dal foglio già riempito a metà. Levò gli occhiali e, sorridendo cordiale, mi invitò a sedere. Mi colpì lo sguardo, quegli occhi verdi, metallici. Erano miti, tristi, freddi. Li ravvivavano di tanto in tanto guizzi di volpina ironia. Mi parlò dei programmi immediati. Mi confidò alcune idee che stava vagliando sulla diffusione del Secolo di cui Franz Turchi era il direttore-fondatore e lui e Filippo Anfuso erano i condirettori. Mentre spiegava questi suoi problemi, fui attratto da una foto alle sue spalle. Era la foto del primo comizio di Almirante, proprio qui, davanti la sede de Il Tempo, nella rovente piazza Colonna dell'immediato dopoguerra. Piazza Colonna non è cambiata da allora. È mutato il clima politico. Adesso è appiccicoso, tropicale. Lo surriscalda solo lo scirocco africano, non certo l'epica politica. L'unica novità, in uno scenario immutato, è rappresentata dalla colonna di Marco Aurelio, che ormai da oltre un decennio è ingabbiata dentrouna torre di tubi d'acciaio e di assi di legno. Nella foto, Almirante era issato su un tavolo acconciato a palco. I capelli neri e non ancora radi, i baffetti da viaggiatore di commercio (la sua attività in quei giorni), lo sguardo torvo (come gli imponeva la parte che stava recitando) e l'indice da j'accuse inutilmente puntato contro la Galleria Colonna. Tutt'intorno, il caos. Un caos fatto di sampietrini divelti, di lacrimogeni, di un fuggi-fuggi generale, con le jeep del primo Celere che fendevano la folla e cercavano di scegliere manu militari un'adunata più "fumosa" che sediziosa. Almirante era lì, impalato e immobile. Arringava un capannello di amici in un contesto che ribolliva di per sè, indipendentemente da quello che lui diceva. Era lì, tranquillo. Come se, invece che a due passi da Montecitorio, fosse al centro di una di quelle piazze assolate e deserte dipinte da De Chirico del periodo metafisico. Era lì, come se si vivessero giorni ordinari, giorni nient'affatto caldi. Lì, come se l'Italia non fosse appena uscita da una tremenda guerra civile. Lì, come se Domineddio gli avesse dato ampie assicurazioni sulla incolumità fisica. «Ero lì. tremante...» confesserà anni dopo. Tremante non tanto per i pericoli che correva. Non tanto per quanto avveniva intorno a lui. Quanto per il terrore che i rossi, interrompendolo, lo obbligassero ad allungare i tempi di un discorso imparato a memoria. Era il suo primo comizio. La sua prima volta. Almirante è stato un politico sui generis. È stato il primo vero interprete della "politica-spettacolo". La politica era teatro per lui. Era gesto. Ammiccamento. Boutade. Colpo di scena. Commedia. Commedia pirandelliana... Credeva nella magia della parola.. Il «bel dire». La dizione limpida. La pronuncia detersa da accenti o cadenze.     UNA VITA PER IL PARTITO Roma - Nato a salsomaggiore il 27 giugno 1914, laureato in lettere e giornalista, abilitato all'insegnamento di materie classiche nelle medie e nei licei, Giorgio Almirante ha dedicato tutta la sua vita all'attività politica. Nel 1940 è in Africa come corrispondente di guerra. Dopo l'8 settembre 1943 aderisce alla repubblica Sociale Italiana. Fu uno dei fondatori del Movimento Sociale Italiano. (...)

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