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La più grande azienda italiana è illegale e fattura 180 miliardi

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Le organizzazioni mafiose gestiscono un giro d'affari da 170-180 miliardi, con un utile che supera i 100 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti, e hanno liquidità per 65 miliardi....

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Le organizzazioni mafiose gestiscono un giro d'affari da 170-180 miliardi, con un utile che supera i 100 miliardi al netto degli investimenti e degli accantonamenti, e hanno liquidità per 65 miliardi. È quanto calcola lo studio «I costi dell'illegalità e la lotta alla criminalità organizzata», pubblicato da Unimpresa a ridosso della risposta del premier Matteo Renzi alle sollecitazioni dello scrittore Saviano sull'emergenza della criminalità. Il presidente del Consiglio ha annunciato la creazione di un commissario anti corotti e la riorma dell'Agenzia nazionale dei Beni Confiscati che ha definito «una specie di carrozzino pubblico senza gli strumenti efficaci per agire con immediatezza». Poi annuncia l'introduzione del delitto di autoriciclaggio per punire l'estorsore o il pusher che reimpiega il provento dei delitti. Secondo l'indagine di Unimpresa, un quinto degli imprenditori, più di un milione di soggetti, è vittima di reati quali racket, truffe, furti, rapine, contraffazioni, abusivismo, appalti, scommesse, pirateria. La Mafia spa - spiega una nota di Unimpresa - è una vera e propria holding company, è la più grande azienda italiana e la prima banca d'Italia. Condiziona il mercato, fa i suoi prezzi e butta fuori i concorrenti. Solo il ramo commerciale della criminalità organizzata rappresenta - secondo lo studio - quasi il 10% del Pil nazionale, superiore a quello di Estonia, Slovenia, Croazia, Romania. Del resto, i ricavi di cui dispone la criminalità organizzata vanno ad alimentare un mercato parallelo a quello legale, addirittura maggiore di quello che tiene in piedi il nostro paese. Le vittime dirette della criminalità organizzata, secondo quanto emerge dal volume, sono in primis le imprese che si ispirano alla legalità e alla correttezza verso i consumatori, i dipendenti, i risparmiatori: le imprese che, in silenzio, si confanno ai canoni fondamentali dell'etica sociale di impresa. «In certi contesti - spiega Luigi Scipione, autore del libro, professore universitario e membro del comitato di presidenza di Unimpresa - quelli caratterizzati da una sedimentata arretratezza economica e sociale, la criminalità organizzata ha assunto un ruolo di mediazione sociale, di mediazione economica, un ruolo di interfaccia con la politica e le istituzioni. In alcune aree del Meridione la criminalità si è addirittura sostituita ai meccanismi del welfare statale per creare un vero e proprio welfare mafioso». Secondo Scipione «l'illegalità e la mancanza di regole feriscono a morte l'economia sana, impediscono lo sviluppo nelle regioni povere, scoraggiano gli investimenti. Appare chiara la presa di posizione nonché la consapevolezza che i condizionamenti della criminalità organizzata nell'economia rappresentano un freno allo sviluppo e un pericolo per le imprese sane».

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