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I giorni dell'utopia di Woodstock

Jimi Hendrix a Woodstock

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Accadde tutto nel giro di tre settimane. Come notò allora Norman Mailer, il ventesimo secolo finì in quell'estate 1969: con grande anticipo sul calendario, e nell'ingannevole speranza di una duratura Era d'Acquario. Cos'altro restava da fare? Una sola generazione aveva tentato la saldatura tra Sogno e Utopia: con gli scienziati e gli astronauti della Nasa, poco più che trentenni, capaci di raggiungere la Luna con computer meno potenti dei nostri telefonini. E con i loro fratelli minori a creare un'effimera società libera di «pace amore e musica» nei tre giorni e mezzo di Woodstock. Erano, quelli, due diversi viaggi dell'inconscio collettivo: se per mettere piede sul satellite occorrevano razionalità e sangue freddo, per lasciarsi andare nello sballo del rock erano necessari vitalismo, incoscienza, sensualità. Ma, a ben guardare, in quel passaggio epocale, la fragilità interiore non poteva che essere condivisa dagli uomini dello spazio e da quelli della controcultura hippy. Se questi ultimi cercavano di sfondare le «porte della percezione» (così le aveva definite il teorico della psichedelia Aldous Huxley) usando droghe, l'equipaggio del Lem aveva dovuto affrontare allucinazioni più devastanti: i presunti alieni. Da quarant'anni si favoleggia sulla comunicazione censurata da Houston, con Neil Armstrong a gridare di aver visto sul bordo del cratere alcune "enormi astronavi extraterrestri", che lo avrebbero esortato ad "allontanarsi dalla Luna", lui e tutta la razza umana. Anche nella pianura dello Stato di New York in 500mila speravano di "allontanarsi", magari sfruttando le "Wooden Ships" evocate da Crosby, Stills, Nash & Young, i vascelli sui quali imbarcare le famiglie verso illusori approdi di felicità, svincolati da ogni ormeggio con quella società tardo-borghese che li opprimeva, e li arruolava per una guerra che faticavano a comprendere. All'alba del quarto giorno del Festival, quando sul palco salì Jimi Hendrix, venne il momento della catarsi, con l'inno americano stravolto da quella chitarra che simulava anche il fragore orrendo delle bombe in caduta libera sul Vietnam. Alcuni osservatori sottolinearono che anche la missione Apollo fosse stata valorizzata per distrarre l'opinione pubblica dall'impasse sul Mekong: ci fu chi sostenne che l'allunaggio non fosse mai avvenuto, e che le riprese dal Mare della Tranquillità fossero state in realtà realizzate in una base californiana, per la regia di Stanley Kubrick, ricattato dalla Cia per i legami del fratello Raul con i castristi. Una tesi che dimostrava che l'umanità non era del tutto pronta "al grande balzo" interstellare. Come di sicuro non era preparata per i mondi idilliaci della «Woodstock Nation»: che divenne un fenomeno libertario man mano che le rockstar si succedevano a suonare, ma che era nata come una qualunque kermesse a pagamento. Quando i promoter si accorsero che nell'area sarebbe arrivata molta più gente rispetto ai 186mila biglietti venduti, si decisero (anche per motivi di sicurezza) ad offrire tutta quella grande musica gratis. Tre settimane, il tempo di una irripetibile congiunzione astrale: ma erano gli stessi giorni del massacro di Sharon Tate e dei suoi amici da parte della setta di Charles Manson, che aveva insanguinato le pareti della villa di Bel Air citando una canzone dei Beatles. Lennon e McCartney a Woodstock si rifiutarono di suonare, ma per altri motivi. Dal cosmo, arrivarono poi il mezzo disastro dell'Apollo 13 e il ripiegamento su orbite circumvicine. Sulla Luna non siamo più tornati. Il rock, con qualche eccezione e molti acciacchi, è sopravvissuto.

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