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Scardina e gli sciacalli

Dalle accuse all'assoluzione finale

Gian Marco Chiocci
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Ignazio Scardina se n'è andato da uomo perbene qual era. Della morte del giornalista Rai trascinato nella polvere giudiziaria di Calciopoli eppoi assolto dopo atroci sofferenze hanno dato notizia ieri mattina con una candela accesa su Facebook la moglie e i figli, che con lui soffrirono e lottarono dentro e fuori le aule di giustizia, che insieme a lui hanno sofferto e lottato fino all'ultimo giorno d'ospedale. Oggi non siamo solo qui a ricordare Scardina marito, papà o cronista esemplare. Oggi ci preme tenere viva l'infamia di un certo mondo, il nostro mondo, che in nome di un'invidia tipica dei giornalisti, del giacobinismo ultras, della gogna a mezzo stampa intrisa di cieca tifoseria calcistica, annientò fisicamente una persona innocente. Un pomeriggio di qualche anno fa, quando per il Giornale feci una lunga controinchiesta sul cosiddetto sistema Moggi-Juve (che in realtà toccava quasi tutte le squadre) in redazione squillò il telefono: risposi, ma non parlava nessuno. Stavo per riattaccare quando sentii piangere e singhiozzare. Era lui. Vergognandosi come un bambino tagliò corto: «Caro Chiocci, noi non ci conosciamo, ma lei è l'unico collega che si è letto le carte del processo. Quel che dovrebbe essere normale mi appare oggi un miracolo, e di questo la ringrazio. Mi hanno abbandonato tutti, alcuni hanno mentito spudoratamente sul mio conto, altri hanno fatto carriera sulla mia pelle, la Rai mi ha distrutto, son diventato un appestato per non aver fatto nulla. Ma ne uscirò pulito, vedrà». Ha mantenuto la promessa, vincendo la battaglia in tribunale. Dopo tanto dolore, oggi Ignazio riposa in pace. Pregate per lui e per quei colleghi che senza provare vergogna faranno finta di niente.

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