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Caro Gianfranco Fini, ora le scuse

L'edificio in Boulevard Princesse Charlotte 14 a Montecarlo, dove c'è  l'appartamento abitato da Giancarlo Tulliani

Gian Marco Chiocci
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«Se la casa è di mio cognato mi dimetto». Impossibile dimenticare quel 25 settembre 2010 allorché un allampanato Gianfranco Fini, presidente della Camera, sfiancato dall'inchiesta giornalistica di chi scrive - all'epoca al Giornale di Feltri e Sallusti insieme al mitico Malpica - prese ancora tempo nonostante le schiaccianti evidenze (cucina Scavolini, off shore caraibiche eccetera) e la delicatezza garantista dei magistrati che resero nota la sua iscrizione sul registro degli indagati contestualmente all'archiviazione. Da quel giorno Fini è politicamente Finito. Ieri, però, è arrivata la botta finale. Per i pm di Roma a pagare l'appartamento in uso al cognato di Fini fu una società off shore controllata da Corallo, il re delle slot machine finito in manette, nel cui albergo anni fa lo stesso Fini cenò durante una vacanza a Saint Marteen insieme al fidato braccio destro Checchino Proietti, anche lui destinatario - stando a un'altra inchiesta - di lauti finanziamenti da parte di Corallo. In sintesi, dunque: il fratello della compagna di Fini non solo è entrato in possesso dell'immobile monegasco senza versare un euro ma lo ha rivenduto a un milione e 360mila euro utilizzando poi conti esteri insieme al papà (il suocero di Gianfry). Sei anni dopo non ci interessa infierire sul povero Fini e nemmeno sulla categoria dei colleghi rosiconi impegnati a straparlare di macchina del fango. Le carte parlavano allora e oggi nessuno parla più. È giunta l'ora di regolare i conti col passato, di lasciarsi alle spalle quel che è stato. Fini chieda scusa alla sua gente, confessi i peccati di valutazione, convinca il cognato a ridare indietro almeno il valore iniziale della casa donata ad An dalla contessa Colleoni. Se si dovesse dimenticare di farlo ricordategli che il rancore, fra gli ex camerati, col tempo si alimenta, non si prescrive.

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