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Il velo islamico nello spot per la cura dei capelli, l'ultimo paradosso dell'integrazione

Nella pubblicità la blogger Amen Khan indossa l'hijab

Pietro De Leo
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Ricordatevi la libertà e la cultura umanistica, l'importanza dei capelli della donna nella narrazione dell'amore. Petrarca e i capelli “sparsi” di Laura agganciati idealmente alla descrizione che Ovidio fece della ninfa Dafne nelle Metamorfosi: “et levis impulsos retro dabat aura capillos”, e lievemente il vento spostava indietro i capelli. Ebbene, ora scordatevi tutto questo. Sì perché se la moda spesso orienta anche le tendenze culturali, c'è un'iniziativa di L'Oreal a squarciare il nostro ideale di bellezza occidentale. L'azienda francese (Paese che più di altri ha dato botte all'identità europea e occidentale) ha inserito nella sua campagna pubblicitaria, costruita con lo schema classico di modelle fotografate nel volto e nella chioma fluente e variamente colorata, anche una ragazza in hijab. Si tratta di una blogger, Amen Khan. La giovane ha un viso indubbiamente luminoso, per quel che si può vedere, ma senz'altro il suo impiego pubblicitario fa a pugni con la logica: un'azienda che produce prodotti per capelli utilizza l'immagine di una donna che cela i propri con il velo, per motivi religiosi. Siamo alle solite: se la moda è libertà, se in quei volti con capelli fluenti nelle pubblicità di L'Oreal è stato contenuto per decenni un messaggio sociale di possibilità di piena espressione della bellezza femminile, tutto ciò oggi fa marcia indietro, soggiacendo alle logiche del mercato, sposando un'idea di segregazione, del tutto contraria, peraltro, alla concezione di seduzione contenuta nella nostra civiltà, di cui le chiome delle donne sono una componente fondamentale. Tutto questo, peraltro, appare ancor più grave considerando quanto apparve in un documentario girato con telecamere nascoste da due donne siriane, qualche anno fa, “Inside Raqqa”, quando la città era occupata dall'Isis. Quelle immagini, poi passate clandestinamente ad alcuni siti e finite (per fortuna) in giro per il mondo, volevano dimostrare la vita quotidiana in una città conquistata dallo Stato Islamico. Ebbene, quel video mostrava che in un emporio, sulle scatole dei prodotti per fare la tinta ai capelli, il volto delle donne era stato cancellato con un pennarello nero, lasciando soltanto i capelli per far capire di che colore si trattasse. A testimonianza di quanto nella cultura islamica l'estetica femminile sia un tabù. D'altronde, il Corano parla chiaro nella Sura XXIV: “di' alle Credenti di abbassare i loro sguardi ed essere caste e di non mostrare dei loro ornamenti, se non quello che appare all'esterno; di lasciar scendere il loro velo fin sul petto e non mostrare i loro ornamenti ad altri che ai loro mariti”. Ecco che un'azienda simbolo dello splendore femminile nell'interezza del volto, ne accoglie il principio. Tacciono, come al solito, le femministe. In compenso, però, hanno indirettamente messo a segno un bottino non da poco. Nella settimana della moda maschile da Parigi, arrivata a pochi mesi dallo scatenarsi della Grande Inquisizione mondiale sulle molestie, lo stilista fiammingo Walter van Beirendonck ha mandato in passerella i suoi modelli con dei soprabiti che li mascherano da maiali, con tanto di orecchie sporgenti. Donna velata e uomo umiliato. Eccola, la moda della nostra decadenza.

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