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Il Vaticano "licenzia" il monsignore gay

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Il portavoce Lombardi: "Non potrà continuare a svolgere i suoi incarichi in Curia" LEGGI ANCHE Le condanne dei Pontefici e i cardinali omosessuali esiliati

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Con una scelta di tempi che è tutto meno che casuale, alla vigilia dell'apertura del Sinodo sulla famiglia monsignor Krzystof Charamsa, teologo della Congregazione per la Dottrina della Fede, in un'intervista rilasciata al «Corriere della Sera» ha dichiarato di essere omosessuale. Polacco, 43 anni, è segretario aggiunto della Commissione teologica internazionale e docente di teologia alla Pontificia università Gregoriana e al Pontificio ateneo Regina Apostolorum. Incarichi che ora dovrà lasciare: mons. Charasma ne è consapevole, ne parla nell'intervista, ma la conferma è arrivata ieri dal portavoce vaticano padre Federico Lombardi con una nota ufficiale: «Nonostante il rispetto che meritano le vicende e le situazioni personali e le riflessioni su di esse, la scelta di operare una manifestazione così clamorosa alla vigilia dell'apertura del Sinodo appare molto grave e non responsabile, poichè mira a sottoporre l'assemblea sinodale a una indebita pressione mediatica. Certamente - continua padre Lombardi - monsignor Charamsa non potrà continuare a svolgere i compiti precedenti presso la Congregazione per la dottrina della fede e le università pontificie, mentre gli altri aspetti della sua situazione sono di competenza del suo Ordinario diocesano». «Sono un sacerdote omosessuale, felice e orgoglioso della propria identità. Sono pronto a pagarne le conseguenze, ma è il momento che la Chiesa apra gli occhi di fronte ai gay credenti e capisca che la soluzione che propone loro, l'astinenza totale dalla vita d'amore, è disumana» ha dichiarato. A suo dire, Charamsa è stato mosso dalla necessità di sollecitare la Chiesa «perché siamo già in ritardo e non è possibile aspettare altri cinquant'anni». Charamsa sostiene anche di aver sempre saputo di essere omosessuale. A questo punto viene da chiedersi perché abbia deciso di farsi prete. Charamsa è stato ordinato prima del 2005, quando Benedetto XVI fece pubblicare l'Istruzione della Congregazione per l'Educazione Cattolica in cui si stabilisce chiaramente che «non si può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay». Ma anche prima di queste disposizioni esisteva, e continua ad esistere, per i sacerdoti l'obbligo della castità, che vale anche per gli eterosessuali. L'uscita di Charamsa, quindi, appare ancora più strumentale. Il monsignore nel corso di una conferenza stampa con il compagno Eduard, un giovane catalano, ieri ha rincarato la dose, esibendo un manifesto in 10 punti contro «l'omofobia istituzionalizzata della Chiesa»: «Dedico il mio coming out ai tantissimi sacerdoti omosessuali che non hanno la forza di uscire dall'armadio, alla fantastica comunità gay, lesbica e transessuale che chiede il rispetto vicendevole dei diritti» ha detto, aggiungendo che l'ex S. Uffizio «è il cuore dell'omofobia della Chiesa cattolica, un'omofobia esasperata e paranoica». «Che all'interno di tutte le chiese ci sia la presenza di gay che attendono dalla Chiesa delle risposte è un dato di fatto - commenta padre Enzo Bianchi, priore della comunità di Bose - tuttavia il rischio, dopo questo outing, è che si infiammino gli animi e che si tolga la necessaria serenità alla discussione» del Sinodo. «Il problema - riflette - al di là dei pregiudizi che ci sono nei confronti delle persone omosessuali è che c'è una incompatibilità tra chi, essendo prete, ha fatto il voto di castità e poi vuole formare una unione. Mi pare una scelta in contraddizione con il Vangelo».

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