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Referendum Alitalia, vince il "no": spettro liquidazione

Valerio Maccari
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Nel referendum sul pre-accordo per Alitalia si impone il "no". Sarebbero 5.140 i voti contrari all'accordo sul piano industriale dell'Alitalia contro 2.209 favorevoli su un totale di 10.101 votanti. Questi i dati che emergono dalla Training Accademy dell'Alitalia dove è in corso da questo pomeriggio lo scrutinio delle schede per il referendum. Anche se non ci fossero schede annullate, i voti contrari sembra abbiano ampiamente superato la soglia definitiva per la bocciatura. Grande preoccupazione del governo per l'esito del referendum. Il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha presieduto un vertice su Alitalia con il ministro dei Trasporti Graziano Delrio e il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda. Sono 12.500 i dipendenti di Alitalia chiamati a esprimersi sul piano di rilancio della compagnia. Un piano duro - sono previsti circa mille esuberi di lavoratori a tempo indeterminato e tagli alle retribuzioni - ma che è l'ultima chance dell'ex compagnia di bandiera. Se il referendum vedesse la vittoria dei no, gli investitori si ritirerebbero e per il vettore si aprirebbero prospettive dure, anche se ancora da individuare. Non è da escludere, comunque, la messa in liquidazione di Alitalia. Consultazione e tempi. Il voto è iniziato martedì e finito oggi alle 16. Nove i seggi aperti tra Roma e Milano: lo spoglio è iniziato immediatamente dopo la chiusura del voto, che ha visto un'affluenza altissima: 90% dei 12.500 dipendenti di Alitalia. Dalla vigilia è diffuso il timore che la consultazione si concluda con la prevalsa più che possibile dei No. Su cosa si vota. La consultazione riguarda il piano industriale di rilancio della compagnia, su cui era stato raggiunto un pre-accordo tra sindacati e compagnia grazie alla mediazione del governo. Il pre-accordo prevede 980 esuberi per il personale di terra a tempo indeterminato (la richiesta iniziale era di 1.338), il taglio delle retribuzioni dell'8 per cento (l'azienda aveva proposto il 30) e del numero dei riposi (da 120 a 108) per il personale navigante, l'applicazione ai nuovi assunti del contratto "cityliner" (meno oneroso). Cosa succede? Nel caso in cui i lavoratori boccino il piano, il Consiglio di amministrazione di Alitalia si riunirebbe già martedì 25 aprile per iniziare le procedure che porteranno all'amministrazione straordinaria delle compagnia. Oltre al commissariamento, ha avvertito il ministro dello Sviluppo Economico Carlo Calenda, ci sarebbe il rischio concretissimo di una liquidazione della compagnia. In caso di vittoria del sì al referendum, il Cda del 25 aprile sbloccherà l'operazione di ricapitalizzazione, che prevede un'iniezione di 2 miliardi di di equity e 900 milioni di euro di nuove risorse e la ratifica dell'intesa in sede ministeriale tra azienda e sindacati, incontro già convocato per giovedì 27. L'appello della politica. A parte l'intervento di Calenda, da Governo e sindacati continuano a spendersi per il Sì da parte dei lavoratori. Ieri e oggi il ministro delle Infrastrutture Graziano Delrio ha sottolineato che "bisogna seguire con coraggio la strada iniziata", . Il ministro interviene per mettere la parola fine alle speculazioni su un possibile intervento dello Stato per il salvataggio della compagnia nel caso di una vittoria del no all'accordo. Giorni fa è intervenuto in persona il Premier Paolo Gentiloni. Appena rientrato dal veloce tour negli Stati Uniti e Canada e ora qui in Italia nelle vesti del Cristiano Ronaldo della situazione. "So bene che ai dipendenti vengono chiesti sacrifici, ma so che senza l'intesa sul nuovo piano industriale l'Alitalia non potrà sopravvivere e sento il dovere di ricordare a tutti la gravità della situazione in cui ci troviamo", ha detto il Presidente del Consiglio con mascherato sconforto.  L'appello dei sindacati. Una soluzione invocata anche dai sindacati di base mentre a scendere in campo in prima persona a favore del sì al preaccordo ieri sono anche i leader di Cisl, Uil e dell'Ugl. Il leader di Cisil Anna Maria Furlan ha ricordato che Annamaria Furlan "non c'è oggi una alternativa concreta al piano industriale di sviluppo e di ricapitalizzazione"

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