Cerca
Logo
Cerca
Edicola digitale
+

Il cuore di Angela Molina: "In Italia mi sento a casa"

Carlo Antini
  • a
  • a
  • a

È entrata nell'immaginario grazie a «Quell'oscuro oggetto del desiderio» di Bunuel. In oltre 40 anni di carriera ha lavorato per i più grandi registi e ha calcato set e palcoscenici accanto agli attori più talentuosi. Fino alla recente visita a Roma in occasione del Festival del cinema spagnolo dove ha parlato di sé e della sua arte. Angela Molina, è appena venuta in Italia per il Festival del cinema spagnolo. Come si è trovata? «Quando si tratta dell'Italia sono sempre al settimo cielo. È stato un modo per parlare ancora del nostro cinema. Tutto questo mi fa immenso piacere perché vuol dire che c'è un pubblico che apprezza». Che differenza c'è tra il pubblico italiano e quello spagnolo? «Nessuna. Ho sempre sentito un'affinità reale e assoluta. Italiani e spagnoli si assomigliano anche nei difetti. Siamo privilegiati. Ogni volta che vengo in Italia mi sento a casa. È come se fosse un po' la mia Italia. Ho vissuto qui per un paio d'anni e ogni volta che sento la sua mancanza è come se mi chiamasse. C'è un legame misterioso che funziona ancora». A Roma ha parlato di «Quell'oscuro oggetto del desiderio». Per lei cosa ha rappresentato quel film? «È un ricordo molto vivo e felice ma è stato anche molto impegnativo. Per me è stata una pellicola vitale che mi ha messo in comunicazione con il cinema del mondo». Lei è stata la musa di Luis Buñuel. Che ricordo ha di lui? «Con Luis abbiamo stabilito un livello di comunicazione molto profondo. È stato un genio e un mostro intellettuale. Oltre a essere una persona molto generosa. Era dotato di un innocente senso del divertimento che lo rendeva davvero speciale. Pochi mesi prima di lavorare con lui, mio nonno morì e lui riuscì subito a stabilire con me un rapporto di protezione e complicità». Si ricorda un aneddoto che la lega a Buñuel? «Sul set lui filmava le scene solo una volta. E lo faceva solo quando pensava che per gli attori fosse arrivato il momento giusto. Una cosa del genere non mi è più capitata con nessun altro. Con tutti gli attori sapeva creare un senso di squadra. Non aveva il senso del tempo e non aveva bisogno di orologi. Con lui si riusciva a lavorare senza angoscia». Lei ha collaborato anche con Almodovar. Che differenza c'è tra loro due? «Si tratta di due mondi diversi. Buñuel metteva tutto nelle mani degli attori. Pedro, invece, è un attore nato. Ed è geniale perché quando ti vuole mostrare cosa devono fare gli attori te lo fa vedere lui in prima persona. Le battute le mette in scena lui. Ci abbiamo messo un po' a capirlo ma alla fine siamo entrati in sintonia. Almodovar è una persona che riesce a moltiplicare le cose che si fanno. Ed è anche molto passionale». Qual è il regista migliore con cui ha lavorato? «Ho sempre detto che per me le scelte sono difficili. Ogni regista con cui ho lavorato è entrato a far parte della mia vita ed è riuscito a perfezionare il senso delle cose. Certamente ricordo con piacere Aragon che è un regista davvero eccezionale. Con lui abbiamo girato film magici. Ma non posso dimenticare registi come Tornatore che è diventato parte concreta della mia vita. Ma tutti sono stati tasselli importanti della mia vita professionale». Com'è cambiato negli anni il mondo del cinema? «Tutto è cambiato perché tutto cambia. Abbiamo sempre un piede nel passato e uno nel futuro. Oltretutto nel cinema si condensano tante arti che riescono a raccontare la nostra vita. Il cinema è cultura e l'uomo è assolutamente legato a questa necessità di creare storie». A cosa sta lavorando in questo periodo? «Adesso sto girando un film in Francia». Ci sono differenze tra i set dei vari Paesi europei in cui ha lavorato? «No, non c'è alcuna differenza. Siamo tutte persone che amano il cinema e il nostro mestiere. Tra noi si stabilisce una sorta di complicità che è sempre uguale a se stessa, in Italia, in Spagna o in Francia. Sul set siamo immersi in un micro mondo che funziona e annulla le differenze tra le varie culture». Nel suo passato c'è stata e c'è ancora tanta televisione. Come si trova a lavorare per il piccolo schermo? «La cosa più importante è raggiungere il pubblico. Con la televisione tutto questo si può fare ancora più facilmente perché è un mezzo che entra nelle case e nella vita stessa delle persone. Il piccolo schermo mi incanta e mi stimola come il cinema e forse di più». Cosa intende? «Ormai i principali registi cinematografici si dedicano anche alle serie tv. È stupendo poter contare su queste nuove potenzialità. Senza contare l'interessante presenza di tantissimi giovani che riescono a dare il meglio di sé proprio sul piccolo schermo». Altra sua grande passione è il teatro. Cosa pensa del rapporto diretto col pubblico che si viene a creare sulle tavole del palcoscenico? «La differenza principale è che al cinema e in tv il pubblico vive nell'inconscio. A teatro, invece, il pubblico sei tu. Ogni volta che si sale sul palcoscenico c'è qualcosa di sacro. C'è un rapporto diretto che non è mai uguale a se stesso. È improvviso e imprevedibile proprio come la vita che non si ripete mai uguale a se stessa». Qual è il progetto che vorrebbe realizzare ma che non è ancora riuscita a mettere in atto? «Vorrei tanto mettere in scena uno spettacolo musicale con un mio amico pianista. La nostra idea è quella di salire sul palco con pianoforte e voce. In passato ho inciso un disco e mi piace l'idea di poter cantare ancora».

Dai blog