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Prosa e poesia, la sfida di due giovani scrittrici

Le copertine dei deu libri

Marco Piscitello
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Lo sguardo di due giovani scrittrici sulla realtà, in prosa e versi: quello di Annalisa De Simone con il romanzo "Le mie ragioni te le ho dette" (Marsilio) e di Elisa Simonelli con la raccolta di poesie "Rumore di me" (L'Erudita). Voci un po' fuori dal coro che in toni diversi cercano un varco oltre la superficie abbastanza piatta del mainstream letterario. Annalisa De Simone, Le mie ragioni te le ho dette. Giulietta e Romeo al contrario, ovvero il dramma della morte del dramma. Siamo tutti fratelli di sangue - ma anche tutti genitori, figli e amanti - di fronte all'impossibilità dell'amore (quindi della felicità) in un tempo, questo presente, orfano di valori e dominato solo dal caos che deriva dallo scontrarsi degli ego. Ma la vera sciagura è che questa dolorosa impossibilità non può neanche essere vissuta come tragedia, al massimo si tratta di una sua rappresentazione postmoderna, perché per dirsi tale la tragedia richiede il conflitto tra grandi ideali e di ideali oggi, gente, non ne esistono più. E' il monito lanciato da questo romanzo che racconta dell'amore impossibile di due giovani nella Roma di oggi e invece di cedere al sentimentalismo mette la narrazione al centro, attraverso l'uso di frasi brevi, di sguardi mossi come macchine da presa a spalla, descrizioni improvvise di paesaggi e particolari d'ambiente mirate a rappresentare il generale stato di choc emotivo in cui versiamo, e che nel suo intreccio vorticoso di voci deve qualcosa alla costruzione narrativa di Yasmina Reza, non a caso un'autrice che viene dal teatro.  Per raccontare dell'avvenuto scoloramento persino dei grandi tabù sociali, come l'incesto, il teatro è infatti usato a contrasto dalla De Simone ricordando attraverso i dialoghi tra un regista e un'attrice, due tra i personaggi principali, il tempo in cui i tabù esistevano e la tragedia era catartica. Adesso invece non c'è più modo di viverla, se non dentro, ma neanche di fuggirla. Anche il più melodrammatico dei tentativi diventa uno scivolamento nel fango, una caduta pasoliniana in acque torbide. Lasciandoci la constatazione che nell'anima della realtà, ormai, non si trovino più né il bene né il male: puoi semplicemente vederci ciò che vuoi. Elisa Simonelli, Rumore di me. Il ritorno della rima nel silenzio assordante del tempo della comunicazione h24. Ecco un'autrice che gioca con l'eco delle origini - Petrarca, Boccaccio, Montale, Leopardi - unendo la voglia di sorprendere e destrutturare alla metrica classica. Come una bambina alle prese con il mondo fantastico e pieno di possibilità del racconto poetico. L'inizio è spiazzante, una poesia che è al tempo stesso diario, sceneggiatura, filastrocca senza ritmo e dichiarazione d'intenti, cioè: aspettatevi di tutto. Una sfida al lettore, quindi, che da lì in poi troverà una strana sperimentazione senza rete che passa dalla profondità alla superficie - intesa come parola che vuole dire solo ciò che dice - mentre l'autrice si diletta con la lingua pensando soprattutto al contenuto. I piani si mischiano nella ricerca della massima libertà espressiva ed insieme della totale comprensibilità: la Simonelli è diretta fino al candore. Scopre le sue fragilità in un'evidente ricerca d'amore che via via, dopo aver stupito, finisce per coinvolgere. Non solo vuole continuare a sentire, vuole che anche noi sentiamo, leggendola.  Per questo scrive ti amo senza arrossire, descrive voli d'uccelli e cieli in cui c'è tutto, tratteggia angeli caduti, corpi incastrati, fiori e occhi. Per questo si colora la bocca con uno spritz e racconta la fede come una sorgente. E per questo - senza paura - usa la rima.      

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