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De Mauro toglie la penna a Saviano

Il professore: «Per lui chi non votava la Ferrante è un servo» La conduttrice Concita De Gregorio glissa: «Viva la libertà»

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Tullio, Roberto e la Strega. Diceva Helmut Qualtinger, autore e attore austriaco, che "gli scrittori si dividono in due categorie: persone produttive e vincitori di premi letterari". L'Italia, che è il paese della toponomastica celebrativa, da sempre, anche sui premi non si fa mancare nulla. Giovedì sera al Ninfeo di Villa Giulia, per la serata finale del Premio Strega, la sorpresa è arrivata addirittura da un linguista e stimato docente universitario, un calibro della cultura italiana, il professor Tullio De Mauro, presidente della Fondazione Bellonci, che se l'è presa nientemeno che con la superstar Roberto Saviano, giurato del premio, un autore che da anni viene celebrato assai, tra la Repubblica, i grandi giornali e la televisione. Nell'afosa notte romana, sul finire, era già tardi, il Professor De Mauro, è sbottato: «Saviano ha detto che chi non votava la Ferrante era un bandito asservito ai poteri forti… ma come si permette? Gli Amici della Domenica non sono dei banditi…». È successo tutto in pochi attimi, con la televisione a far da galeotta, perché quando il professor De Mauro, in diretta su Rai3, è stato intervistato dalla conduttrice della serata finale del premio Strega, Concita De Gregorio, è lì che ha chiamato in causa proprio Saviano (assente al Ninfeo), che da giurato aveva candidato appunto Elena Ferrante. La storia comincia nel febbraio di quest'anno, quando Saviano, con una lettera - aperta pubblicata dal quotidiano "La Repubblica" chiede ad Elena Ferrante, autrice (o autore/i) di cui il pubblico non conosce l'identità reale ma solo i libri, di accettare la candidatura allo Strega. «La tua partecipazione - scrive Saviano - romperebbe gli equilibri di un gioco scontato. Questo riconoscimento storico non deve più essere uno scambio di voti e favori…». La risposta, sempre a mezzo stampa, ancora dalle colonne di Repubblica, sarà positiva: «Accetto di sparigliare le carte in una gara ormai finta…». Sempre in quel periodo, da parte della Fondazione Bellonci, arriva la comunicazione di una serie di modifiche nel regolamento, "a salvaguardia dei piccoli e medi editori". L'atto secondo, dopo la candidatura della Ferrante promossa da Saviano, è che alla fine la Elena Ferrante ce la fa ad arrivare in finale, è nella cinquina assieme a Lagioia (ndr, eletto vincitore finale giovedì sera), Covacich, Genovesi, e Santagata. E proprio dopo l'uscita della cinquina, rieccoti Roberto Saviano. Stavolta interviene con un commento pubblicato sul suo sito ufficiale, dove tra le altre cose si legge: "Con l'avvicinarsi dell'annunciazione della cinquina finale sono circolate voci incontrollate che riconducevano la presenza della Ferrante a una mossa dei vertici dello Strega che, in accordo con i grandi gruppi editoriali, avrebbero chiesto a me di presentarla. A me sembra piuttosto un modo bizzarro per preparare l'ennesima fregatura e l'ennesimo scambio di voti, insomma una specie di diversivo mal riuscito. Cioè, far sembrare l'esito in caso di vittoria di Elena Ferrante come voluto dai 'potenti dello Strega' e in caso di sconfitta [ come uno scampato pericolo, come un atto legittimo. Interessante vedere la facilità con cui le dinamiche dell'inciucio si trasferiscano, dalla sfera politica, a quelle dei premi letterari". Le dinamiche dell'inciucio - questa la critica dura di Saviano - che da costume della politica secondo lui sarebbe traghettato pure nei premi. E proprio a quell'intervento giovedì, al Ninfeo, deve aver ripensato Tullio De Mauro, prima di affondare la sua replica contro l'autore di "Gomorra". Concita De Gregorio, che scrive pure su Repubblica, giornale dove scrive anche Saviano, alle parole del linguista e presidente della Fondazione Bellonci è parsa presa in contropiede, ed ha farfugliato in coda qualcosa del tipo, viva la libertà. Ci mancherebbe, libertà anche dei vaffa però. Che poi ogni anno, con l'editoria che non è più quella di una volta, per non parlare degli scrittori italiani, qualcosa per animare i Premi dovrà pur succedere. Ha scritto Ennio Flaiano, nel secolo scorso, ne "La solitudine del satiro" e con l'ironia che gli era propria: "Leggere è niente, il difficile è dimenticare ciò che si è letto. E ormai non sono più gli autori ad allontanarsi dai loro libri, ma i lettori". Parole sante.

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