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La dolce vita dei conquistatori

Dirigibiel Goodyear nei cieli di Roma: una veduta aerea di San Pietro (foto Gmt)

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«Roma è stata la vittima di continue incursioni militari: di questo il libro rende lucidamente conto. Allo stesso tempo, essa ha assorbito una serie incredibile di "alterità", ciò che l'ha portata a essere la straordinaria città che conosciamo. Così, le "invasioni" di Roma sono cominciate subito e non sono mai finite»: sono parole di Tommaso di Carpegna Falconieri nella sua prefazione al volume di A. Cortese De Bosis, Sono entrati a Roma. Dai Galli di Brenno agli Americani di Clark (Pragmatica edizioni), nel quale l'Autore, diplomatico di carriera, ha passato in rassegna, in sedici capitoli, le occupazioni di Roma, da quella ad opera di Brenno all'ingresso delle truppe americane il 4 giugno 1944. Al Sacco del 410 da parte dei Goti di Alarico hanno dedicato un elegante volume Massimiliano Ghilardi e Gianluca Pilara, I barbari che presero Roma. Il sacco di Roma e le sue conseguenze, terzo tomo di una collana promossa annualmente dalla Società dell'Acqua Pia Antica Marcia. Se "l'assedio di Alarico alla città di Roma era stato un passaggio fondamentale nella storia dell'Urbe", esso "era risultato a tutti gli effetti meno drastico e con meno conseguenze materiali di quante ne avesse causate l'arrivo dei Vandali di Genserico solo pochi decenni dopo". "La gravità però dell'atto - così scrive Pilara concludendo (La fine di un mito) la prima parte del volume (Dal Baltico a Roma. Storia dei barbari che presero la Città Eterna) affidata alle sue cure - era nell'aver infranto un simbolo che da millenni rimaneva ancora inviolato entro le sue indistruttibili mura. Alarico era riuscito per primo a penetrare entro le Mura Aureliane occupando la città di Augusto». Componendo l'epodo XVI, nell'imminenza di un riaccendersi delle guerre civili, Orazio aveva messo in guardia i suoi concittadini dal pericolo che Roma crollasse "per le sue stesse forze": «Il barbaro, ahimè, premerà vincitore le ceneri, /e a cavallo calpesterà con risonante zoccolo l'Urbe,/ e le ossa di Quirino ora al riparo dal sole e dai venti-/ sacrilega visione! - spargerà irridendo" (vv.11-14, versione di Luca Canali). Nella seconda parte del volume che presentiamo (In una urbe totus orbis interiit (sono parole di S.Girolamo). Il sacco alariciano di Roma tra mito e realtà), Massimiliano Ghilardi, dopo averci offerto un quadro delle ricchezze monumentali di Roma prima e dopo il Sacco del 410, ci consente di renderci conto delle distruzioni che i tre giorni del saccheggio alariciano costarono all'Urbe, ripercorendo sulle fonti il cammino di devastazioni e di prede che i Barbari percorsero, dal loro ingresso in città dalla Porta Salaria alla loro uscita dalla via Appia, "avendo seguito un itinerario da nord a sud, praticamente parallelo al corso del Tevere". Lo sfruttamento critico delle fonti storiche(riportate sempre nel testo originale e in versione italiana) ci consente poi di chiarire lo stato d'animo con il quale la comunità cristiana e quella pagana di Roma vissero quei tragici avvenimenti, convinta, la prima, che negli invasori si dovesse vedere "lo strumento dell'ira divina" contro la città "superba, lasciva e blasfema", portata la seconda ad accusare i Cristiani "di aver provocato l'ira degli dei" e a leggere "nell'abbandono del pantheon classico la causa dell'arrivo di Alarico". Ma il fatto che le chiese cristiane, in particolare la basilica petrina dell'Ager Vaticanus, rappresentarono un sicuro rifugio per i componenti delle due comunità, consente a Ghilardi di concludere che "Per i templi pagani era giunta l'ultima ora. La civitas christiana si affermava ormai con prepotenza". La storia dei Goti protagonisti del Sacco è tracciata, come abbiamo detto, nella prima parte del volume, nella quale Pilara, muovendo dalla domanda "Chi erano i Goti?", ripercorre la storia di questo popolo nei suoi rapporti con l'Impero romano fino alla comparsa alla loro testa di "una figura di rilievo che avrebbe drasticamente condizionato gli avvenimenti fino all'arrivo dei Visigoti in Italia e soprattutto fino al noto assedio di Roma del 410", la figura di Alarico. Nelle pagine dedicate a "Aspetti di politica e tradizione gota", l'Autore descrive le caratteristiche politiche, sociali, culturali, religiose dei Goti, nel quadro delle quali la sua attenzione si concentra poi sulla figura del condottiero che li guidò fino alle mura di Roma, destinato a concludere la sua vita nel profondo Sud d'Italia, a pochi chilometri da Cosenza, presso il fiume Busento, nel cui letto, secondo la tradizione riferita dallo storico Iordanes, le sue spoglie vennero deposte. Allora, secondo la ballata di August von Platen » , "Cantò (...) un coro d'uomini: /-Dormi, o re, nella tua gloria!/ Man romana mai non violi/ La tua tomba e la memoria!".

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