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Caso Cucchi, chiuse le indagini: tre carabinieri accusati di omicidio preterintenzionale

La svolta a 8 anni dalla morte del geometra romano. I pm: "Ucciso da schiaffi, pugni e calci e omissioni dei medici"

Valeria Di Corrado
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L'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi si chiude con un colpo di scena. La Procura di Roma contesta il reato di omicidio preterintenzionale ai carabinieri Francesco Tedesco, Alessio Di Bernardo e Raffaele D'Alessandro, che avrebbero "spinto e colpito con schiaffi e calci" il 31enne" facendolo violentemente cadere in terra" durante la procedura di fotosegnalamento. Inizialmente i tre militari erano accusati di lesioni gravissime. Si aggrava anche la posizione degli altri due indagati. Per le dichiarazioni rese sotto giuramento nel processo di primo grado in cui erano imputati gli agenti della polizia penitenziaria e i medici che avevano preso in cura il geometra romano, la contestazione nei confronti dell'allora comandante della stazione Appia Roberto Mandolini e dell'appuntato Vincenzo Nicolardi cambia da falsa testimonianza, in calunnia. Stessa accusa anche per Tedesco. Mentre a quest'ultimo e a Mandolini viene contestato anche il reato di falso per quanto riportato nel verbale di arresto. La svolta investigativa sulla morte di Cucchi, deceduto il 22 ottobre 2009 all'ospedale Pertini (una settimana dopo il suo arresto per droga), arriva quando Anna Carino, ex moglie di Raffaele D'Alessandro, gli ricorda al telefono: "Hai raccontato a tutti di quanto vi eravate divertiti a picchiare quel drogato di merda (...) che te ne vantavi pure... che te davi le arie". La frase intercettata viene confermata dalla donna quando il 19 ottobre 2015 è stata sentita dal pm ed è confluita nella richiesta di incidente probatorio con cui la Procura aveva chiesto al gip di eseguire un nuovo accertamento medico-legale "al fine di stabilire la natura e l'effettiva portata delle lesioni patite da Cucchi e la sussistenza o meno di un nesso di causalità con l'evento morte". Dall'attività d'indagine svolta dal procuratore capo Giuseppe Pignatone e dal sostituto procuratore Giovanni Musarò è emerso infatti che nella notte tra il 15 e il 16 ottobre 2009 Cucchi fu sottoposto "a un violentissimo pestaggio" da parte di tre carabinieri della stazione Appia, nell'arco temporale successivo alla perquisizione eseguita presso la casa dei genitori di Stefano e precedente al momento in cui il giovane fu trasferito nella  stazione di Tor Vergata. "Il pestaggio fu originato da una condotta di resistenza posta in essere dall'arrestato al momento del fotosegnalamento Cucchi colpì Di Bernardo con uno schiaffo, inducendo i tre militari a interrompere la procedura per fare ritorno presso la stazione Appia, così come disposto dal maresciallo Mandolini". Sul registro i tre carabinieri diedero atto che non era stato possibile ultimare il fotosegnalamento. Poi, però, qualcuno cancellò il nome di Cucchi con il bianchetto "come se l'arrestato non fosse mai passato di lì". Tra le dichiarazioni più interessanti raccolte dal pm Musarò, c'è quella rilasciata il 30 giugno scorso da Riccardo Casamassima, all'epoca dei fatti in servizio presso la stazione di Tor Vergata: "Il maresciallo Mandolini mettendosi una mano sulla fronte mi disse: "è successo un casino, i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato", per poi spiegare che si trattava di Cucchi.

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