IL TERRORE TRA NOI
di Francesca Musacchio
6 Gennaio 2017
«Confermo che esiste una grande attenzione da parte di tutto il comparto sicurezza nel valutare ogni situazione delicata. Ad oggi non risulta alcuna progettualità ostile specifica contro obiettivi nel nostro Paese. Viviamo uno stato di elevata allerta e quindi vi è un controllo di tutte le realtà che si ritengono più sensibili». A parlare è Giacomo Stucchi, presidente del Copasir, dopo le stragi di Berlino e Istanbul.
In Italia l’allerta è ai massimi livelli.
«Proviamo a fare chiarezza senza creare il panico? La lotta al terrorismo di matrice islamista è globale perché a essere in gioco ci sono tutti i valori dell’Occidente, in primis quelli della democrazia e delle libertà. La paura è comprensibile. I cittadini devono essere consapevoli che ogni giorno le forze dell’ordine e l’intelligence si impegnano al massimo, pur con dotazioni che devono essere sempre più adeguate alle nuove sfide, per garantire la sicurezza di tutti. Non è certo per una questione di fortuna se da noi, fino ad oggi, non ci sono stati attentati di matrice jihadista; è il risultato di un prezioso lavoro silenzioso svolto quotidianamente da tante persone capaci e preparate. Ciò non significa, tuttavia, e dobbiamo essere onesti nell’ammetterlo, che noi non si sia nel mirino al pari delle altre comunità occidentali e che, quindi, nel futuro non possa accadere qualcosa».
Esiste un network jihadista con ramificazioni anche in Italia e che potrebbe fornire supporto per attentati?
«Rispetto a Charlie Hebdo e ai fatti del Bataclan le stragi di Berlino e di Istanbul evidenziano delle reti jihadiste molto più ridotte e per questo più difficili da individuare. Spesso chi compie un attentato è l’unico soggetto a conoscenza del piano che intende portare a termine e questa mancanza di condivisione impedisce ogni fuga di notizia. Per l’intelligence, quindi, si tratta di una nuova sfida con la quale confrontarsi. Ma i terroristi non sono fantasmi che spuntano dal nulla e, come dimostra la cronaca degli ultimi giorni, spesso coloro che agiscono o progettano attentati sono coperti da uomini o strutture che danno loro appoggio».
Si può parlare di presenza di cellule attive in Italia?
«Per le informazioni ad oggi in mio possesso direi di no. Il pericolo esiste e la sfida più dura è proprio quella di prevenire eventuali attivazioni».
Quando si parla di terrorismo di matrice islamica il collegamento all’immigrazione è inevitabile. Quanto è reale il rischio?
«Personalmente non ho mai escluso questa possibilità. Fino alla scorsa estate era logico supporre che l’arrivo in Europa di un terrorista "strutturato" - un soggetto cioè su cui Daesh aveva investito molto in termini di formazione - difficilmente poteva avvenire tramite un barcone, mettendo così in pericolo la sua vita. Dopo le sconfitte nei mesi scorsi di Daesh in Libia e parecchi miliziani allo sbando è ragionevole pensare che le cose siano cambiate. Non parlo natural- mente dei veri profughi. Un controllo capillare su tutti coloro che arrivano sulle nostre coste con imbarcazioni di fortuna per accertarne identità e intenzioni è quindi fondamentale per abbassare il possibile rischio».
La Libia è il nostro tallone di Achille. Come si può arginare il fenomeno dell’immigrazione?
«Oggi la situazione in Libia è sempre più fuori controllo. La comunità internazionale deve aiutare concretamente la Libia chiedendo in cambio un reale presidio delle coste e ottenendo la realizzazione in loco di siti per l’accoglienza dei migranti, che permettano agli stessi di presentare le richieste d’asilo. Ma il punto vero, l’intervento necessario da compiere in tema di politiche migratorie, se si vuole dare un segnale chiaro anche ai trafficanti di esseri umani, è quello dei respingimenti».
Si può parlare di una presenza di soggetti radicalizzati che mettono a rischio la sicurezza nazionale?
«Dalla radicalizzazione al terrorismo il passo può essere breve e, comunque, nessuno può escludere che alcuni soggetti possano essere indotti ad agire da criminali esercitando e portando violenza nelle nostre città. La strategia giusta consiste nel non abbassare mai la guardia. Occorre aumentare i controlli sul territorio, nelle carceri, sul web e in particolare nel dark web, dove si svolge il 90% delle attività problematiche di tutta la rete internet, ricordando da ultimo che oggi è proprio il web, per la sua facilità di frequentazione, ad essere luogo in cui è più agevole iniziare un percorso di radicalizzazione».
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