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"Pensammo di far saltare ponte S. Angelo"

La rivelazione choc arriva da Bertolaso durante il processo per il G8 L'imputato: "Erano i giorni peggiori della piena del Tevere nel 2008"

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«I barconi si andavano a incastrare sotto ponte Sant'Angelo facendo da diga al fiume. La situazione si era fatta molto critica, si ipotizzò, ma non fu mai detto pubblicamente, la possibilità di far saltare il ponte, salvando le statue del Bernini se le cose fossero precipitate». La clamorosa rivelazione proviene dall'ex capo della Protezione civile Guido Bertolaso. Ieri l'imputato, spiegando alla Corte lo stress affrontato durante il 2008, quando il Tevere rischiò di esondare, ha raccontato che «per 72 ore, giorno e notte ho tenuto d'occhio la piena con questi barconi che si andavano a incastrare sotto ponte Sant'Angelo facendo da diga al fiume». Data la drammaticità della situazione, le autorità avrebbero quindi ventilato l'ipotesi di abbattere il ponte costruito nel 134 dall'imperatore Adriano, salvando tuttavia le statue scolpite dagli allievi del Bernini proprio sotto la sua direzione. L'affermazione di Bertolaso si inserisce all'interno della testimonianza avvenuta ieri in Tribunale, quando all'uomo è stata data la possibilità di difendersi dall'accusa di corruzione mossa dagli inquirenti che si occupano degli appalti sospetti assegnati in occasione del G8. L'ex numero uno della Protezione civile racconta l'episodio per spiegare lo stress a cui era sottoposto. Fu proprio a causa della pressione lavorativa che Bertolaso si recò nel centro sportivo e ricreativo di Diego Anemone. «Ma quale champagne? Quali preservativi? Io frequentavo il Salaria Sport Village per rilassarmi e farmi massaggiare. Attraversavo un periodo di forte stress e ogni tanto cercavo di staccare», ha raccontato in aula Bertolaso che, secondo la procura, avrebbe favorito Diego Anemone. L'imprenditore desiderava aggiudicarsi gli appalti che dal 2008 al 2010 erano gestiti dalla struttura di Missione incardinata al Dipartimento per lo sviluppo del turismo presso la Presidenza del consiglio. E per farlo avrebbe elargito «utilità e favori» anche a Bertolaso che avrebbe beneficiato dei servizi del Salaria Sport Village, centro sportivo e ricreativo di sua proprietà. Gli inquirenti sospettano che l'ex capo della Protezione civile, oltre a un appartamento in via Giulia e a 50 mila euro in contanti, avrebbe usufruito anche di prestazioni sessuali offerte da una ragazza, Monica, e del lavoro di una massaggiatrice di nome Francesca. Tutte accuse respinte da Bertolaso che ieri davanti ai giudici ha raccontato: «Non c'è stato nessun incontro erotico. Ero un cliente del Salaria da tempo, tanto da aver fatto un abbonamento. Frequentavo il centro di fisioterapia e mi affidavo ai massaggi della signora Francesca – ha continuato l'imputato - Dalle telefonate si capisce che ero distrutto per i lavori e i ritardi legati al G8, che ero stremato, che avevo bisogno di un momento di relax. Quando avevo un momento libero, ne approfittavo. Francesca era una bravissima massaggiatrice: mi addormentavo subito e dopo stavo meglio per un po'». Niente «preservativi né champagne» secondo l'imputato, solo un rimedio per affrontare la tensione derivante dal suo ruolo. «Nel dicembre del 2008, in particolare, lo stress raggiunse il massimo nei giorni in cui si rischiava a Roma la peggiore alluvione del Tevere – continua a raccontare Bertolaso ai giudici - Una domenica chiamai per un massaggio e invece di Francesca trovai una graziosa ragazza che si chiamava Monica che mi massaggiò sullo stesso lettino che utilizzava Francesca. Posso dire che non ho visto champagne né preservativi. Lei lo ha già raccontato a dei giornalisti. Possibile che non possa essere sentita anche al processo?», domanda l'imputato. Ma dalle telefonate intercettate emerge un'altra realtà. «Quello che poi si dicevano al telefono Anemone, che a volte chiamavo direttamente per fissare un appuntamento al Salaria Sport Village, e il suo braccio destro Simone Rossetti – si difende Bertolaso - io non lo posso sapere. Se alle mie spalle loro parlavano di “cose particolari” o facevano allusioni, io non c'entro nulla».

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