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L'altro delitto di via Poma La «signorina» uccisa col cuscino

Angela Di Pietro Era una anziana signorina che non indulgeva in frivolezze e neanche rincorreva vizi o vezzi per riempire vuoti affettivi

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  Era una anziana signorina che non indulgeva in frivolezze e neanche rincorreva vizi o vezzi per riempire vuoti affettivi. Renata Moscatelli, 68 anni, tanto benestante quanto parsimoniosa, aveva dedicato la vita al padre, un generale dei carabinieri che negli anni quaranta era stato vice comandante dell'Arma. Un carattere granitico, di chi non s'arrende all'emotività, di chi non rincorre sogni, di chi vive secondo un rigido schema abitudinario come un piccolo soldato. Viveva sola nell'appartamento del padre, in via Poma 4, palazzina E, al primo piano. Lui nel 1982 lasciando alle due figlie, si disse all'epoca, un patrimonio di mezzo miliardo di lire e la casa, naturalmente, una delle tante del condominio del quartiere Prati dove nel 1990 sarà uccisa Simonetta Cesaroni, lo stesso luogo in cui si toglierà la vita un avvocato, anni dopo. Un palazzone tirato su seguendo linee tipiche dell'architettura fascista, squadrato e vagamente malinconico. Renata Moscatelli, da quell'appartamento, usciva poco. In quella casa morirà perché tra le ore diciotto e le 24 del 21 ottobre 1984 verrà uccisa. A trentuno anni da quell'omicidio rimasto insoluto, il drammatico mosaico resta incompiuto perché la ricca signorina uccisa non aveva figli né una famiglia numerosa e unita che potesse insistere affinché l'indagine fosse approfondita. UNA DOMENICADIVERSA DALLE ALTRE Renata Moscatelli non ha amicizie, con i coinquilini si limita a scambiare frasi di cortesia. Ha il viso duro, la fronte larga, indossa occhiali dalla montatura fuori moda ma è una di quelle donne che non coltivano la loro femminilità adeguandosi ad uno stile di vita morigerato e senza scosse. Persino la sua abitazione riflette frugalità. Non ha segreti Renata: la sua vita si estende dalla casa al mercatino rionale e fino alle messe vespertine nella chiesa Regina Apostolorum, a pochi metri da via Poma. Ha una sorella, Adriana, 61 anni, che chiama «la marchesa», perché è l'ex moglie del marchese Giovanni Theodoli Braschi (ramo petroli) e un nipote, figlio di Adriana, Giovanni Angelo, che è un pezzo grosso della City Bank of New York, sede di Madrid. Dicono che i rapporti tra le due sorelle siano tesi, da quando è morto il padre, per via dell'eredità, E di mezzo ci sia proprio l'appartamento di via Poma. Le hanno sentite discutere più di una volta. Ma Adriana negherà. Domenica 21 ottobre 1984 Renata Moscatelli va in chiesa, come ogni giorno, poi torna a casa e si chiude dentro. Sbarre alle finestre, porta blindata. Non apre a nessuno, racconta il portiere Giulio, non si fida di nessuno. Teme i ladri, sebbene in quella casa non vi siano oggetti preziosi, anzi. Dal momento in cui chiude la porta a chiave, dietro di sé, nessuno la vede più. IL CADAVERE SCOPERTOTRE GIORNI DOPO Lunedì ventuno, un giorno dopo, Rosa Scatolini, una conoscente, aspetta a pranzo Renata, ma la pensionata non si vede. Allarmata avverte la sorella Adriana, che si mostra agitata e dice che chiamerà un fabbro per aprire la porta. Ma passa un giorno e solo martedì la sorella corre all'appartamento di via Poma, parla con Giulio il portiere, dice «Vuoi vedere che me l'hanno trucidata?». Ma neanche quel giorno succede niente. Mercoledì 24 torna con un fabbro che in pochi minuti riesce ad aprire la porta, porta che non mostra segni di effrazione. Segno evidente che Renata conosceva il suo assassino, perché gli ha aperto la porta senza timori. La luce è stata spenta (come negli uffici in cui sarà uccisa Simonetta Cesaroni) scie di sangue vengono rilevate sul pavimento della sala, dove sono rimasti sul pavimento un cuscino di raso ed una bottiglia di whisky frantumata. Il corpo di Renata è in camera da letto, disteso, ha tentato di chiamare qualcuno, tracce di sangue sono infatti sul telefono. Alle 13,30 l'arrivo di Nicola Cavaliere capo della Mobile, che sei anni dopo tornerà a via Poma per un'altra storia. L'autopsia rivela che la signorina è stata tramortita con una bottigliata in testa e soffocata con il cuscino di raso, che le ha causato tra l'altro la frattura di quattro vertebre. È morta tra le 18 e le 24 di domenica, dice l'esame necroscopico. Nessun oggetto è stato rubato: sono stati smontati solo i portaritratti collocati in tutto l'appartamento, come se chi abbia agito sapesse che Renata nascondeva qualcosa là dietro. Ma cosa, una chiave? La chiave di una cassaforte? L'ipotesi di una rapina viene scartata. L'aggressione sessuale risulta altamente improbabile. E allora? I sospetti si concentrano sulla sorella Adriana, ma finiscono con lo scomparire. IL MISTERIOSO SIGNOR MARDOCCI È l'inviato di «Chi L'Ha Visto» Giuseppe Pizzo, molti anni dopo, quando il caso è archiviato e la morte della povera Renata destinata a rimanere tra i fascicoli impolverati di una questura, quelli che nessuno ha più occasione di consultare, che compare una figura evanescente, quella del signor «Mardocci». È un prete amico della vittima, Padre Marcello Bolzonello, a rivelare che la sera in cui è avvenuto l'omicidio, la signorina lo ha chiamato chiedendogli di ospitare in una comunità religiosa un conoscente, il signor Mardocci, che ha perso le chiavi di casa. Lui dice di si e prende appunti. Un'ora più tardi il fantomatico Mardocci richiama e annulla tutto, dice che ha ritrovato le chiavi. È proprio Renata a telefonare al sacerdote o quella chiamata è solo un abile depistaggio per permettere l'entrata in scena nel teatrino drammatico, di un possibile (finto) assassino? Chi ha ucciso Renata Moscatelli l'ha fatta franca e ha agito con grande accuratezza. Costui aveva di certo rapporti cordiali con la vittima, tanto da farsi aprire la porta di casa. La ricca pensionata quella porta l'ha aperta, inconsapevole del fatto che stava per consegnarsi all'omicida.

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