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U2 a Roma. Se Bono il predicatore ringrazia l'Italia per i migranti

Carlo Antini
Carlo Antini

Parole e musica come ascisse e ordinate

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Gli U2 sul palco di Foto: Gli U2 sul palco di "The Joshua Tree Tour 2017"
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Sono bastati i primi colpi di rullante che annunciavano la marcia di “Sunday Bloody Sunday” per far esplodere lo stadio Olimpico nella prima delle due date romane del “The Joshua Tree Tour 2017”. Gli U2 sono entrati sul palco insieme e sono andati avanti sulla pedana. In mezzo al loro pubblico. E da lì hanno suonato il capitolo che precede “The Joshua Tree”. Tutte d'un fiato anche “New Year's Day”, “Bad” e “Pride (In the name of love)". Raccolti e vicini. A pochi metri l'uno dall'altro, come se l'antico repertorio li avesse riportati anche fisicamente su quei piccoli palchi dove avevano iniziato a esibirsi all'inizio degli anni Ottanta. Senza maxischermi lunghi 60 metri alle spalle. Come succede ora. Bono folletto vestito di nero è in serata di grazia e cita il poeta Keats prima di “Bad” e ringrazia in italiano il pubblico “che ci ha fatto tornare qui”. Poi le luci si spengono e sugli spalti si accendono migliaia di cellulari mentre Bono dedica il brano a Luciano Pavarotti sui versi di “Heroes” di David Bowie. Il live è già entrato nel vivo. Energia e intimità. Ma è solo l'inizio. Il palco si infiamma di rosso e si accendono i contorni luminosi dell'albero di Giosuè. La ragione per cui la band è qui a Roma. Dopo 30 anni dalla pubblicazione dell'omonimo album e altrettanti dal concerto allo stadio Flaminio, Bono chiede ancora di farci guidare da “pace e compassione”. I visual di Anton Corbijn lasciano scorrere le immagini delle strade in mezzo al deserto del Nevada mentre la band esegue una tagliente “Where the streets have no name”. Poi “I still haven't found what I'm looking for” con The Edge e Adam Clayton in maglietta bianca che sembrano due angeli protettori al fianco di Bono. La coreografia prende il sopravvento su “With or Without you” con 60mila persone che alzano fogli al cielo a comporre la scritta “30 - The Joshua Tree”. Ma non si scherza più. Perché in scaletta c'è l'aggressione bellica di “Bullet the blue sky” con le risate diaboliche e le croci in fiamme di Bono e la chitarra di The Edge che suona come un caccia in assetto da guerra. L'intimità di “Running to stand still” riporta la calma con le armonizzazioni delle tastiere e un perfetto Bono che chiude intonando la linea melodica con l'armonica. C'è spazio per la disoccupazione dei minatori a “Red Hill Mining Town” e per la spiritualità di “In God's country” che apre il lato B dell'album come sottolinea lo stesso Bono che ammette: “Queste canzoni sono più rilevanti adesso di quanto lo fossero trent'anni fa”. “Trip through your wires” suona con l'armonica che strizza l'occhio a Dylan e apre la strada a “One Tree Hill” e all'introduzione del concetto di “famiglia” che unirebbe Italia e Irlanda. “Perché anche gli U2 sono una famiglia”. Lo spezzone tratto da una serie tv western degli anni '50 che precede “Exit” chiama in causa il presidente Trump attraverso un personaggio omonimo accusato di essere un bugiardo. Il brano è forse il momento più intenso dello show. Il cappello da cowboy di Bono catalizza le energie della band. Prima di “Mothers of the disappeared” che chiude i brani di “The Joshua Tree” mentre sugli schermi le madri tengono in mano candele per i figli scomparsi. Gli U2 escono dal palco e li fa tornare per i bis la voce di Pavarotti che intona “Miss Sarajevo” con le immagini delle distruzioni tra la popolazione siriana. Dalla Bosnia ad Aleppo in 30 anni. Il passo è breve. Bono trova il tempo per ringraziare l'Italia e la sua Guardia Costiera per quello che fa per i migranti. “State dando il meglio di voi stessi”. Poi parte un'energica versione di “Beautiful Day” su schermi multicolore che aprono la strada a “Elevation” e “Vertigo” con visual hitchcockiani. Una scarica di adrenalina anche per i fan post-Joshua Tree a cavallo dell'ennesima citazione da Bowie. Questa volta nel mirino c'è “Rebel Rebel”. “Ultraviolet” è un omaggio alle donne, da Anna Frank a Giusy Nicolini, passando per Grace Jones, Patti Smith, Rita Levi Montalcini, Angela Merkel e Ada Lovelace. L'inno alla pace di “One” avvia il concerto verso i saluti finali. Gli U2 tornano sul piccolo palco iniziale immerso tra la folla, da dove intonano l'intima e nuova “Little Things” tratta dall'album in uscita “Songs of Experience”. Poi salutano Roma ed escono in fila indiana. Uno dietro l'altro. Come una famiglia. La famiglia-rock che riescono ad essere da quasi 40 anni.

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