Le leggi elettorali fanno tutte schifo. Ma lamentarsene è da italiani
Il partito di Emmanuel Macron, La République en Marche!, ha appena conquistato la maggioranza assoluta del parlamento francese. Lo ha fatto raggiungendo, al primo turno, il 28.2% dei consensi con un'astensione pari a circa la metà del corpo elettorale. In pratica hanno votato per En Marche! 14 francesi su cento aventi diritto. Eppure Macron avrà in Parlamento una maggioranza schiacciante. In Inghilterra i Conservatori di Theresa May, nonostante abbiano conquistato il 42,3% dei voti, sono rimasti lontani della maggioranza di governo. Si faranno aiutare dai LibDem, che nonostante il 7,5% dei voti si sono accaparrati appena 12 seggi. Sempre meglio delle precedenti elezioni, quando avevano preso più voti (8%) ma meno seggi (8). Negli Stati Uniti Donald Trump ha preso tre milioni di voti in meno rispetto a Hillary Clinton. Eppure è stato nominato presidente perché a sostenerlo c'erano 304 grandi elettori contro i 227 della sfidante democratica. In Germania alle ultime elezioni presidenziali, nel 2013, Angela Merkel pur avendo conquistato il 41,5% dei consensi non aveva la maggioranza parlamentare e ha dovuto varare un governo di coalizione con la sinistra. Al tempo stesso un partito con un discreto seguito come l'AfD, pur potendo contare sul 4,7% dei consensi, è rimasto fuori dal Parlamento. Ognuno di questi esempi segnala una distorsione del sistema elettorale. Talvolta un sistema troppo maggioritario dà eccessive maggioranze a fronte di pochi consensi (Francia). In altre occasioni un proporzionale spinto costringe anche partiti con un seguito enorme a dover scendere a patti con gli avversari per governare (Germania). Infine, in alcune nazioni il meccanismo di voto può premiare addirittura chi prende meno preferenze degli avversari (Stati Uniti). Eppure, a mia memoria non ricordo che in questi Paesi qualcuno, pur venendo danneggiato dal sistema elettorale, se ne sia lamentato. Le regole ci sono, si rispettano. I risultati si accettano. E non si briga per cambiare la legge a ogni pie' sospinto: negli Usa il sistema in vigore è praticamente lo stesso da sempre, in Francia il meccanismo "resiste" dal 1958, in Germania lo si è cambiato una volta sola (nel 2013, ma marginalmente), in Inghilterra è il medesimo da inizio secolo. Solo in Italia le regole del gioco diventano ogni volta l'argomento principe del dibattito politico, prima ancora dei problemi del Paese o delle eventuali soluzioni. Se ne parla prima delle urne, perché si vorrebbe una legge elettorale "che coniughi rappresentatività e governabilità" (impossibile). E se ne parla dopo, per dare la colpa della sconfitta alla legge elettorale o perché il sistema impone larghe intese. Così in cima all'agenda resta una riforma che accontenti tutti (difficile) e puntualmente l'iter della legge si infrange contro i primi scogli parlamentari. E' l'Italia, bellezza...