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Ecco perché la commissione sul Montepaschi non si farà mai

Carlantonio Solimene
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La commissione d'inchiesta sulle banche - e incidentalmente anche sul crac Montepaschi - non si farà mai. O meglio: magari si insedierà, ma non arriverà mai alle conclusioni, non svelerà mai perché una gestione poco accorta e una serie di crediti non riscossi dai soliti amici abbia costretto gli italiani a rimetterci ancora una volta una decina di miliardi di euro. Ma come? - direte voi - I partiti hanno votato addirittura una mozione per chiedere che il ddl fosse approvato con una procedura d'urgenza... Appunto, quella mozione è stata votata dalla Camera il 10 gennaio scorso. Al momento in cui scrivo, le ore 18 del 31 gennaio 2017, l'iter legislativo non è ancora iniziato. Quando si dice l'urgenza... In queste ore in commissione Finanze al Senato va approvato prima il decreto Salva-banche (che deve approdare in Aula entro giovedì) e solo poi si affronterà il tema commissione d'inchiesta. La seduta, prevista nel pomeriggio, è stata però rinviata a stasera. Di indagini su banche e Montepaschi, insomma, non si parlerà fino a domani. A quel punto, occorrerà unificare i tredici diversi disegni di legge presentati in un testo unico, votarlo e portarlo in Aula. Sempre aspettando, ovviamente, che il Dl Salva-banche faccia il suo corso. Calendario alla mano, se i lavori procedessero a spron battuto si potrebbe votare in assemblea per la costituzione della commissione d'inchiesta tra la fine della prossima settimana e l'inizio della successiva. Difficile, però, che fili tutto liscio. Il MoVimento 5 Stelle è già salito sulle barricate denunciando la tentazione del governo di porre la fiducia sul dl Salva-banche impedendo discussione ed emendamenti. Insomma, il passaggio al Senato non sarà indolore. Quindi la commissione d'inchiesta potrebbe restare in sala d'attesa ancora un po'. Quando l'aula del Senato avrà dato il via libera, si dovrà ripetere lo stesso iter alla Camera poiché si è scelto di istituire una commissione bicamerale invece di una più rapida monocamerale. Tra un passaggio e l'altro, nella migliore delle ipotesi ci vorrà un mesetto, nella peggiore un paio. La commissione, cioè, si insedierà tra l'inizio e la fine di marzo. Più probabilmente nella seconda metà. Gli stessi partiti che hanno reclamato a gran voce questo strumento d'inchiesta - dal Pd al MoVimento 5 Stelle, dalla Lega a Fratelli d'Italia - oggi strepitano invocando il voto anticipato. Facciamo un po' di calcoli anche in questo caso: per votare l'11 giugno, la data che sembrerebbe la prediletta da Renzi, secondo la legge le Camere andrebbero sciolte tra 45 e 70 giorni prima. Cioè tra il primo e il 25 aprile. Ciò vuol dire che la commissione d'inchiesta avrebbe per lavorare nella migliore delle ipotesi un mesetto. Nella peggiore una o due settimane. Durante le quali, ovviamente, i parlamentari presterebbero il loro servizio solo nei ritagli di tempo.  Per farsi un'idea delle tempistiche, l'ultima commissione d'inchiesta sul caso Moro è stata istituita nell'ottobre del 2014 e ha redatto una prima relazione solo nel dicembre 2015, più di un anno dopo. Un'altra relazione - ma non ancora quella conclusiva - è stata presentata la settimana scorsa. Stiamo parlando di 27 mesi dopo l'istituzione. Probabilmente il caso banche è meno complesso, ma illudersi che basti indagare una decina di giorni per venirne a capo è da ingenui. Se addirittura si dovesse sprintare per votare il 30 aprile - come però appare improbabile se non impossibile - la legislatura dovrebbe terminare a febbraio. La commissione, cioè, non vedrebbe neanche la luce. E forse sarebbe anche meglio, poiché il bluff sarebbe smascherato subito. Ecco perché sentire i vari Renzi - ma anche Grillo e Salvini - urlare che si vuole arrivare alla verità sul Montepaschi e che, al tempo stesso, si vuole andare subito al voto, non può che essere una menzogna. Delle due l'una. Naturalmente, continueremo a monitorare la situazione per i lettori. Ma il timore è che non potremo che dare altre cattive notizie.

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